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312 SECONDA PARTE

con l’obligo su detto; facendoli la provisione medesima per partito di quelle paghe che avevano fino allora date agli altri capi maestri. Saputasi la allogazione fatta a Filippo per gli artefici e per i cittadini, a chi pareva bene et a chi male, come sempre fu il parere del popolo e degli spensierati e degli invidiosi. Mentre che si faceva le provisioni per cominciare a murare, si destò su una setta fra artigiani e cittadini, e fatto testa a’ Consoli et agl’Operai, dissono che si era corsa la cosa e che un lavoro simile a questo non doveva esser fatto per consiglio di un solo, e che se eglino fussin privi d’uomini eccellenti, come eglino ne avevono abbondanza, saria da perdonare loro; ma che non passava con onore della città, perchè venendo qualche disgrazia, come nelle fabriche suole alcuna volta avvenire, potevano essere biasimati, come persone che troppo gran carico avessino dato a un solo, senza considerare il danno e la vergogna che al publico ne potrebbe risultare: e che però, per affrenare il furore di Filippo era bene aggiugnergli un compagno. Era Lorenzo Ghiberti venuto in molto credito, per aver già fatto esperienza del suo ingegno nelle porte di Santo Giovanni, e che e’ fusse amato da certi che molto potevano nel governo, si dimostrò assai chiaramente perchè, nel vedere tanto crescere la gloria di Filippo, sotto spezie di amore e di affezione verso quella fabbrica, operarono di maniera appresso de’ Consoli e degli Operai che fu unito compagno di Filippo in questa opera. In quanta disperazione et amaritudine si trovassi Filippo, sentendo quel che avevano fatto gli Operai, si conosce da questo, che fu per fuggirsi da Fiorenza; e se non fussi stato Donato e Luca della Robbia che lo confortavano, era per uscire fuor di sè. Veramente empia e crudel rabbia è quella di coloro che, accecati dall’invidia, pongono a pericolo gli onori e le belle opere, per la gara della ambizione. Da loro certo non restò che Filippo non ispezzasse i modelli, abruciasse i disegni et in men di mezza ora precipitasse tutta quella fatica che aveva condotta in tanti anni. Gl’Operai, scusatisi prima con Filippo, lo confortarono a andare inanzi, che lo inventore et autore di tal fabrica era egli, e non altri; ma tuttavolta fecero a Lorenzo il medesimo salario che a Filippo. Fu seguitato l’opera con poca voglia di lui, conoscendo avere a durare le fatiche che ci faceva, e poi avere a dividere l’onore e la fama a mezzo con Lorenzo. Pure messosi in animo che troverrebbe modo che non durerebbe troppo in questa opera, andava seguitando insieme con Lorenzo nel medesimo modo che stava lo scritto dato agli operai. Destossi in questo mentre nello animo di Filippo un pensiero di volere fare un modello, che ancora non se ne era fatto nessuno; e così messo mano, lo fece lavorare a un Bartolomeo legnaiuolo, che stava dallo Studio. Et in quello, come il proprio, misurato appunto in quella grandezza, fece tutte le cose difficili, come scale alluminate e scure e tutte le sorti de’ lumi, porte e catene e speroni; e vi fece un pezzo d’ordine del ballatoio. Il che avendo inteso, Lorenzo cercò di vederlo, ma perchè Filippo gliene negò, venutone in collora, diede ordine di fare un modello egli ancora, accio che e’ paresse che il salario che tirava non fusse vano e che ci fusse per qual cosa. De’ quali modelli, quel di Filippo fu pagato lire cinquanta e soldi quindici; come si trova in uno stanziamento al libro di Migliore di Tommaso a dì tre d’ottobre nel 1419; et a uscita di Lorenzo Ghiberti