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BENOZZO 407

lo conducono a quel sicuro e tranquillo stato, dove con tanto contento suo lo affaticato Benozzo Gozzoli si riposò. Costui fu discepolo dello Angelico fra’ Giovanni, e a ragione amato da lui, e da chi lo conobbe tenuto pratico di grandissima invenzione, e molto copioso negli animali, nelle prospettive, ne’ paesi e negli ornamenti. Fece tanto lavoro nella età sua, che e’ mostrò non essersi molto curato d’altri diletti; et ancora che e’ non fusse molto eccellente a comparazione di molti che lo avanzarono di disegno, superò nientedimeno col tanto fare tutti gli altri della età sua, perchè in tanta moltitudine di opere gli vennero fatte pure delle buone. Dipinse in Fiorenza nella sua giovanezza alla Compagnia di S. Marco la tavola dello altare; et in S. Friano un transito di S. Ieronimo, che è stato guasto per acconciare la facciata della chiesa lungo la strada. Nel palazzo de’ Medici fece in fresco la cappella con la storia de’ Magi, et a Roma in Araceli, nella cappella de’ Cesarini, le storie di S. Antonio da Padova, dove ritrasse di naturale Giuliano Cesarini cardinale et Antonio Colonna. Similmente nella Torre de’ Conti, cioè sopra una porta sotto cui si passa, fece in fresco una Nostra Donna con molti Santi; et in Santa Maria Maggiore, all’entrar di chiesa per la porta principale, fece a man ritta in una cappella, a fresco, molte figure che sono ragionevoli. Da Roma tornato Benozzo a Firenze, se n’andò a Pisa, dove lavorò nel cimiterio che è allato al Duomo, detto Camposanto, una facciata di muro lunga quanto tutto l’edifizio, facendovi storie del Testamento Vecchio con grandissima invenzione. E si può dire che questa sia veramente un’opera terribilissima, veggendosi in essa tutte le storie della creazione del mondo distinte a giorno per giorno. Dopo l’Arca di Noè, l’innondazione del diluvio espressa con bellissimi componimenti e copiosità di figure, appresso la superba edificazione della torre di Nebrot, l’incendio di Soddoma e dell’altre città vicine, l’istorie d’Abramo, nelle quali sono da considerare affetti bellissimi; perciò che se bene non aveva Benozzo molto singular disegno nelle figure, dimostrò nondimeno l’arte efficacemente nel sacrificio d’Isaac, per avere situato in iscorto un asino per tal maniera che si volta per ogni banda, il che è tenuto cosa bellissima. Segue appresso il nascere di Moisè, che que’ tanti segni e prodigii insino a che trasse il popolo suo d’Egitto e lo cibò tanti anni nel deserto. Aggiunse a queste tutte le storie ebree insino a Davit e Salomone suo figliuolo, e dimostrò veramente Benozzo in questo lavoro un animo più che grande, perchè dove sì grande impresa arebbe giustamente fatto paura a una legione di pittori, egli solo la fece tutta e la condusse a perfezione. Di manier che, avendone acquistato fama grandissima, meritò che nel mezzo dell’opera gli fusse posto questo epigramma:

Quid spectas volucres, pisces, et monstra ferarum
et virides silvas, aethereasque domos?
Et pueros, iuvenes, matres, canosque parentes
queis semper vivum spirat in ore decus?
Non haec tam variis finxit simulacra figuris
natura; ingenio foetibus apta suo:
est opus artificis; pinxit viva ora Benoxus.
O superi vivos fundite in ora sonos.