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nel colorito mostra che e’ si strugga di affezzione, pigliando conforto e vita dal mansuetissimo guardo della bellezza di lei e dalla vivezza e bellezza del Figliuolo. Fecevi Raffaello un putto ritto in mezzo della tavola sotto la Nostra Donna, che alza la testa verso lei e tiene un epitaffio, che di bellezza di volto e di corrispondenza della persona non si può fare, né più grazioso, né meglio, oltre che v’è un paese che in tutta perfezzione è singulare e bellissimo. Dappoi, continuando le camere di palazzo, fece una storia del miracolo del Sacramento del corporale d’Orvieto o di Bolsena, che eglino se ’l chiamino; nella quale storia si vede al prete, mentre che dice messa, nella testa infocata di rosso, la vergogna che egli aveva nel veder per la sua incredulità fatto liquefar l’Ostia in sul corporale e che spaventato negli occhi e fuor di sé smarrito nel cospetto de’ suoi uditori, pare persona inrisoluta; e si conosce nell’attitudine delle mani quasi il tremito e lo spavento che si suole in simili casi avere. Fecevi Raffaello intorno molte varie e diverse figure, alcuni servono alla messa, altri stanno su per una scala ginocchioni, et alterate dalla novità del caso fanno bellissime attitudini in diversi gesti, esprimendo in molte uno affetto di rendersi in colpa, e tanto ne’ maschi, quanto nelle femmine, fra le quali ve n’ha una che a’ piè della storia da basso siede in terra tenendo un putto in collo, la quale sentendo il ragionamento che mostra un’altra di dirle del caso successo al prete, maravigliosamente si storce mentre che ella ascolta ciò, con una grazia donnesca molto propria e vivace. Finse dall’altra banda papa Giulio che ode quella messa, cosa maravigliosissima, dove ritrasse il cardinale di San Giorgio et infiniti; e nel rotto della finestra accomodò una salita di scalee che la storia mostra intera, anzi pare che, se il vano di quella finestra non vi fosse, quella non sarebbe stata punto bene. Laonde veramente si gli può dar vanto che nelle invenzioni dei componimenti di che storie si fossero nessuno già mai più di lui nella pittura è stato accomodato et aperto e valente come mostrò ancora in questo medesimo luogo dirimpetto a questa in una storia quando San Piero nelle mani d’Erode in prigione è guardato dagli armati, dove tanta è l’architettura che ha tenuto in tal cosa e tanta la discrezione nel casamento della prigione che invero gli altri appresso a lui hanno più di confusione ch’egli non ha di bellezza; avendo egli cercato di continuo figurare le storie come elle sono scritte e farvi dentro cose garbate et eccellenti, come mostra in questa l’orrore della prigione nel veder legato fra que’ due armati con le catene di ferro quel vecchio, il gravissimo sonno nelle guardie et il lucidissimo splendor dell’Angelo nelle scure tenebre della notte luminosamente far discernere tutte le minuzie delle carcere e vivacissimamente risplendere l’armi di coloro, in modo che i lustri paiono bruniti più che se fussino verissimi e non dipinti. Né meno arte et ingegno è nello atto quando egli sciolto da le catene esce fuor di prigione accompagnato dall’Angelo, dove mostra nel viso San Piero più tosto d’essere un sogno, che visibile, come ancora si vede terrore e spavento in altre guardie che armate fuor della prigione sentono il romore de la porta di ferro, et una sentinella con una torcia in mano desta gli altri, e mentre con quella fa lor lume riverberano i lumi della torcia in tutte le armi, e dove non percuote quella serve un lume di luna. La quale invenzione, avendola