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nella capella, dove è il corpo della beata Elena da l’Olio, nella quale opera mostrò quanto la grazia nelle delicatissime mani di Raffaello potesse insieme con l’arte. Èvvi una Santa Cecilia che, da un coro in cielo d’Angeli abbagliata, sta a udire il suono, tutta data in preda alla armonia, e si vede nella sua testa quella astrazzione che si vede nel vivo di coloro che sono in estasi; oltra che sono sparsi per terra instrumenti musici che non dipinti, ma vivi e veri si conoscono, e similmente alcuni suoi veli e vestimenti di drappi d’oro e di seta, e sotto quelli un ciliccio maraviglioso. Et in un San Paulo, che ha posato il braccio destro in su la spada ignuda e la testa appoggiata alla mano, si vede non meno espressa la considerazione della sua scienzia che l’aspetto della sua fierezza conversa in gravità; questi è vestito d’un panno rosso semplice per mantello e d’una tonica verde sotto quella, alla apostolica e scalzo; èvvi poi Santa Maria Maddalena che tiene in mano un vaso di pietra finissima, in un posar leggiadrissimo e svoltando la testa par tutta allegra della sua conversione, che certo in quel genere penso che meglio non si potesse fare: e così sono anco bellissime le teste di Santo Agostino e di San Giovanni Evangelista. E nel vero che l’altre pitture, pitture nominare si possono, ma quelle di Raffaello cose vive: perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue e vivacità viva vi si scorge; per il che questo li diede, oltra le lodi, che aveva più nome assai. Laonde furono però fatti a suo onore molti versi e latini e vulgari, de’ quali metterò questi soli per non far più lunga storia di quel che io mi abbi fatto.
Pingant sola alii, referantque coloribus ora; Ceciliae os Raphael atque animum explicuit.
Fece ancora doppo questo un quadretto di figure piccole, oggi in Bologna medesimamente in casa il conte Vincenzio Arcolano, dentrovi un Cristo a uso di Giove in cielo e d’attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiel; uno a guisa di uomo e l’altro di leone e quello d’aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non meno raro e bello nella sua piccolezza che sieno l’altre cose sue nelle grandezze loro. A Verona mandò della medesima bontà un gran quadro ai conti da Canossa, nel quale è una Natività di Nostro Signore bellissima con una aurora molto lodata, sì come è ancora Santa Anna; anzi tutta l’opera, la quale non si può meglio lodare che dicendo che è di mano di Raffaello da Urbino. Onde que’ conti meritamente l’hanno in somma venerazione; né l’hanno mai, per grandissimo prezzo che sia stato loro offerto da molti prìncipi, a niuno voluto concederla. Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane che è tenuto stupendissimo. E similmente un quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza, il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavola dell’altare, et in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo di tanta bellezza ne l’ignudo e nelle fatezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senzaché Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una Vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtù, senzaché l’abito suo è tale che mostra una semplicità et onestà