Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/192

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egli mancò per questa cagione di quegli ornamenti, grandezza e copiosità di maniere, che in molti altri pittori si sono vedute. Sono non di meno le sue figure, se bene semplici e pure, bene intese, senza errori et in tutti i conti di somma perfezzione; l’arie delle teste, così di putti come di femmine, sono naturali e graziose, e quelle de’ giovani e de’ vecchi con vivacità e prontezza mirabile; i panni begli a maraviglia e gl’ignudi molto bene intesi. E se bene disegnò semplicemente, sono non di meno i coloriti suoi rari e veramente divini. Nacque Andrea l’anno 1478 in Fiorenza di padre che esercitò sempre l’arte del sarto, onde egli fu sempre così chiamato da ognuno. E pervenuto all’età di sette anni, levato dalla scuola di leggere e scrivere, fu messo all’arte dell’orefice. Nella quale molto più volentieri si esercitò sempre (a ciò spinto da naturale inclinazzione) in disegnare che in maneggiando ferri per lavorare d’argento o d’oro; onde avvenne che Gian Barile, pittore fiorentino, ma grosso e plebeo, veduto il buon modo di disegnare del fanciullo, se lo tirò appresso e, fattogli abbandonare l’orefice, lo condusse all’arte della pittura. Nella quale cominciandosi ad esercitare Andrea con suo molto piacere, conobbe che la natura per quello esercizio l’aveva creato; onde cominciò in assai picciolo spazio di tempo a far cose con i colori, che Gian Barile e gl’altri artefici della città ne restavano maravigliati. Ma avendo dopo tre anni fatto bonissima pratica nel lavorare e studiando continuamente, s’avvide Gian Barile che, attendendo il fanciullo a quello studio, egli era per fare una straordinaria riuscita, perché, parlatone con Piero di Cosimo, tenuto allora dei migliori pittori che fussero in Fiorenza, acconciò seco Andrea il quale, come desideroso d’imparare, non restava mai di affaticarsi, né di studiare. E la natura, che l’aveva fatto nascere pittore, operava tanto in lui che nel maneggiare i colori lo faceva con tanta grazia, come se avesse lavorato cinquanta anni; onde Piero gli pose grandissimo amore e sentiva incredibile piacere nell’udire che quando aveva punto di tempo, e massimamente i giorni di festa, egli spendeva tutto il dì insieme con altri giovani disegnando alla sala del papa, dove era il cartone di Michelagnolo e quello di Lionardo da Vinci; e che superava, ancor che giovanetto, tutti gl’altri disegnatori che, terrazzani e forestieri, quasi senza fine vi concorrevano. In fra i quali piacque più che quella di tutti gl’altri ad Andrea la natura e conversazione del Francia Bigio pittore, e parimente al Francia quella d’Andrea; onde, fatti amici, Andrea disse al Francia che non poteva più sopportare la stranezza di Piero già vecchio e che voleva perciò torre una stanza da sé, la quale cosa udendo il Francia, che era forzato a fare il medesimo, perché Mariotto Albertinelli suo maestro aveva abbandonata l’arte della pittura, disse al suo compagno Andrea che anch’egli aveva bisogno di stanza e che sarebbe con comodo dell’uno e dell’altro ridursi insieme. Avendo essi addunque tolta una stanza alla piazza del Grano, condussero molte opere di compagnia, una delle quali furono le cortine che cuoprono l’altar maggior delle tavole de’ Servi, le quali furono allogate loro da un sagrestano, strettissimo parente del Francia. Nelle quali tele dipinsero, in quella che è volta verso il coro, una Nostra Donna Annunziata, e nell’altra, che è dinanzi, un Cristo diposto di croce, simile a quello che è nella tavola che quivi