Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/223

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tenuta assai bella, e lavorò nel palazzo del Duca molte stanze in compagnia d’un suo fratello detto Battista, i quali sempre furono nimici l’uno dell’altro, ancor che per voler del Duca lavorassero insieme. Fecero di chiaro scuro nel cortile di detto palazzo istorie d’Ercole et una infinità di nudi per quelle mura. Similmente per tutta Ferrara lavorarono molte cose in tavola et in fresco. E di lor mano è una tavola del Duomo di Modena. Et in Trento nel palazzo del cardinale in compagnia d’altri pittori fecero molte cose di lor mano. Ne’ medesimi tempi, facendo Girolamo Genga pittore et architettore, per il duca Francesco Maria d’Urbino sopra Pesero al palazzo dell’imperiale molti ornamenti, come al suo luogo si dirà, fra molti pittori, che a quell’opera furono condotti per ordine del detto signor Francesco Maria, vi furono chiamati Dosso e Battista ferraresi, massimamente per far paesi, avendo molto innanzi fatto in quel palazzo molte pitture Francesco di Mirozzo da Forlì, Raffaello dal Colle del Borgo a Sansepolcro e molti altri. Arrivati dunque il Dosso e Battista all’imperiale, come è usanza di certi uomini così fatti, biasimarono la maggior parte di quelle cose che videro e promessero a quel signore di voler essi fare cose molto migliori; per che il Genga, che era persona accorta, vedendo dove la cosa doveva riuscire, diede loro a dipignere una camera da per loro. Onde essi messesi a lavorare si sforzarono con ogni fatica e studio di mostrare la virtù loro. Ma qualunque si fusse di ciò la cagione, non fecero mai in tutto il tempo di lor vita alcuna cosa meno lodevole, anzi peggio di quella. E pare che spesso avvenga che gl’uomini nei maggior bisogni e quando sono in maggior aspettazione, abagliandosi et acecandosi il giudizio, facciano peggio che mai: il che può forse avvenire dalla loro malignità e cattiva natura di biasimare sempre le cose altrui o dal troppo volere sforzare l’ingegno; essendo che nell’andar di passo e come porge la natura, senza mancar però di studio e diligenza, pare che sia miglior modo che il voler cavar le cose quasi per forza dell’ingegno, dove non sono; donde è vero che anco nell’altre arti e massimamente negli scritti, troppo bene si conosce l’affettazione e per dir così il troppo studio in ogni cosa. Scopertasi dunque l’opera dei Dossi, ella fu di maniera ridicola che si partirono con vergogna da quel signore; il quale fu forzato a buttar in terra tutto quello che avevano lavorato e farlo da altri ridipignere con il disegno del Genga. In ultimo fecero costoro nel duomo di Faenza per Messer Giovambattista cavaliere de’ Buosi una molto bella tavola d’un Cristo che disputa nel tempio, nella quale opera vinsero se stessi, per la nuova maniera che vi usarono e massimamente nel ritratto di detto cavaliere e d’altri. La qual tavola fu posta in quel luogo l’anno 1536. Finalmente divenuto Dosso già vecchio, consumò gl’ultimi anni senza lavorare, essendo insino all’ultimo della vita provisionato dal duca Alfonso. Finalmente dopo lui rimase Battista, che lavorò molte cose da per sé, mantenendosi in buono stato. E Dosso fu sepellito in Ferrara sua patria. Visse ne’ tempi medesimi il Bernazzano Milanese, eccellentissimo per far paesi, erbe, animali et altre cose terrestri, volatili et acquatici. E perché non diede molta opera alle figure, come quello che si conosceva imperfetto, fece compagnia con Cesare da Sesto, che le faceva molto bene e di bella maniera. Dicesi che il Bernazzano fece in un cortile a fresco certi paesi molto