Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/244

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E così fece il cortile di chiaro e scuro al signor... et insieme alcune logge, le quali sono molte piene d’ornamento e di bellezza, e ben lavorate. Fece ancora in S. Angelo, allato alla pescheria di Napoli, una tavolina a olio, nella quale è una Nostra Donna et alcuni ignudi d’anime cruciate, la quale di disegno, più che di colorito, è tenuta bellissima. Similmente alcuni quadri, in quella dell’altar maggiore, di figure intere sole, nel medesimo modo lavorate. Avvenne che stando egli in Napoli, e veggendo poco stimata la sua virtù, deliberò partire da coloro che più conto tenevano d’un cavallo che saltasse, che di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive. Per il che, montato su le galee, si trasferì a Messina, e quivi trovato più pietà e più onore, si diede ad operare; e così lavorando di continuo prese ne’ colori buona e destra pratica. Onde egli vi fece di molte opere, che sono sparse in molti luoghi. Et all’architettura attendendo, diede saggio di sé in molte cose ch’e’ fece. Appresso nel ritorno di Carlo V dalla vittoria di Tunisi, passando egli per Messina, Polidoro gli fece archi trionfali bellissimi, onde n’acquistò nome e premio infinito. Laonde egli, che sempre ardeva di desiderio di rivedere quella Roma, la quale di continuo strugge coloro che stati ci sono molti anni nel provare gli altri paesi, vi fece per ultimo una tavola d’un Cristo che porta la croce, lavorata a olio, di bontà e di colorito vaghissimo; nella quale fece un numero di figure che accompagnano Cristo alla morte, soldati, farisei, cavagli, donne, putti et i ladroni innanzi, col tenere ferma l’intenzione, come poteva essere ordinata una giustizia simile: che ben pareva che la natura si fusse sforzata a far l’ultime pruove sue in questa opera veramente eccellentissima. Doppo la quale cercò egli molte volte svilupparsi di quel paese, ancora ch’egli ben veduto vi fosse; ma la cagione della sua dimora era una donna, da lui molti anni amata, che con sue dolci parole e lusinghe lo riteneva. Ma pure tanto poté in lui la volontà di rivedere Roma e gli amici, che levò dal banco una buona quantità di danari ch’egli aveva, e risoluto al tutto, si partì. Aveva Polidoro tenuto molto tempo un garzone di quel paese, il quale portava maggiore amore a’ danari di Polidoro, che a lui, ma per averli così sul banco, non poté mai porvi su le mani e con essi partirsi. Per il che caduto in un pensiero malvagio e crudele, deliberò la notte seguente, mentre che dormiva, con alcuni suoi congiurati amici, dargli la morte e poi partire i danari fra loro. E così in sul primo sonno assalitolo, mentre dormiva forte, aiutato da coloro, con una fascia lo strangolò. E poi datogli alcune ferite, lo lasciarono morto. E per mostrare ch’essi non l’avessero fatto, lo portarono su la porta della donna da Polidoro amata, fingendo che, o parenti, o altri in casa l’avessero amazzato. Diede dunque il garzone buona parte de’ danari a que’ ribaldi, che sì brutto eccesso avevan commesso; e quindi fatteli partire, la mattina piangendo andò a casa un Conte, amico del morto maestro, e raccontogli il caso; ma per diligenza che si facesse in cercar molti di chi avesse cotal tradimento commesso, non venne alcuna cosa a luce. Ma pure come Dio volle, avendo la natura e la virtù a sdegno d’essere per mano della fortuna percosse, fecero a uno, che interesso non ci aveva, dire che impossibil era che altri che tal garzone l’avesse assassinato. Per il che il Conte gli