Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/254

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mai facesse il Rosso. Il quale fu per queste opere, et altre molte che non si sanno, così grato al re, che egli si trovava poco avanti la sua morte avere più di mille scudi d’entrata, senza le provisioni dell’opera, che erano grossissime. Di maniera che non più da pittore, ma da principe vivendo, teneva servitori assai, cavalcature, et aveva la casa fornita di tapezzerie e d’argenti, et altri fornimenti e masserizie di valore; quando la fortuna, che non lascia mai o rarissime volte lungo tempo in alto grado chi troppo si fida di lei, lo fece nel più strano modo del mondo capitar male: perché, praticando con esso lui, come dimestico e familiare, Francesco di Pellegrino fiorentino, il quale della pittura si dilettava et al Rosso era amicissimo, gli furono rubate alcune centinaia di ducati. Onde il Rosso, non sospettando d’altri che di detto Francesco, lo fece pigliare dalla corte, e con esamine rigorose tormentarlo molto. Ma colui, che si trovava innocente, non confessando altro che il vero, finalmente relassato, fu sforzato, mosso da giusto sdegno, a risentirsi contra il Rosso del vituperoso carico che da lui gli era stato falsamente apposto. Perché datogli un libello d’ingiuria, lo strinse in tal maniera, che il Rosso, non se ne potendo aiutare, né difendere, si vide a mal partito, parendogli non solo avere falsamente vituperato l’amico, ma ancora machiato il proprio onore, et il disdirsi, o tenere altri vituperosi modi, lo dichiarava similmente uomo disleale e cattivo. Per che deliberato di uccidersi da se stesso, più tosto che esser castigato da altri, prese questo partito: un giorno che il re si trovava a Fontanableò mandò un contadino a Parigi per certo velenosissimo liquore, mostrando voler servirsene per far colori o vernici, con animo, come fece, d’avelenarsi. Il contadino dunque tornandosene con esso (tanta era la malignità di quel veleno) per tenere solamente il dito grosso sopra la bocca dell’ampolla turata diligentemente con la cera, rimase poco meno che senza quel dito, avendoglielo consumato e quasi mangiato la mortifera virtù di quel veleno, che poco appresso uccise il Rosso, avendolo egli, che sanissimo era, preso, perché gli togliesse, come in poche ore fece, la vita. La qual nuova essendo portata al re senza fine gli dispiacque, parendogli aver fatto nella morte del Rosso perdita del più eccellente artefice de’ tempi suoi. Ma perché l’opera non patisse, la fece seguitare a Francesco Primaticcio bolognese, che già gl’aveva fatto, come s’è detto, molte opere, donandogli una buona badia, sì come al Rosso avea fatto un canonicato. Morì il Rosso l’anno 1541, lasciando di sé gran disiderio agl’amici et agl’artefici, i quali hanno mediante lui conosciuto quanto acquisti appresso a un prencipe uno che sia universale, et in tutte l’azzioni manieroso e gentile, come fu egli, il quale per molte cagioni ha meritato e merita di essere ammirato come veramente eccellentissimo.