Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/295

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e l’avesse bene immitato, come fece il vecchio, se non avesse passata la pittura dell’avversario, l’arebbe almanco paragonata. Ma non per questo fu se non lodata la testa di Giovanfrancesco, al quale il fiamingo fece cortesia, perché contentandosi della testa sola del vecchio raso, non volle altrimenti (come nobile e gentile) i venticinque ducati. Questo quadro venne poi col tempo nelle mani di madonna Isabella da Este, Marchesana di Mantoa, che lo pagò benissimo al fiamingo e lo pose per cosa singolare nel suo studio, nel quale aveva infinite cose di marmo, di conio, di pittura e di getto bellissime. Dopo aver servito il Visconte, essendo Giovanfrancesco chiamato da Guglielmo, Marchese di Monferrato, andò volentieri a servirlo essendo di ciò molto pregato dal Visconte, e così arivato gli fu assegnata bonissima provisione, et egli, messo mano a lavorare, fece in Casale a quel signore in una cappella dove egli udiva messa, tanti quadri quanti bisognarono a empierla et adornarla da tutte le bande di storie del Testamento Vecchio e Nuovo, lavorate con estrema diligenza, sì come anco fu la tavola principale. Lavorò poi per le camere di quel castello molte cose che gli acquistarono grandissima fama. E dipinse in San Domenico, per ordine di detto marchese, tutta la capella maggiore, per ornamento d’una sepoltura dove dovea essere posto; nella quale opera si portò talmente Giovanfrancesco, che meritò dalla liberalità del Marchese essere con onorati premi riconosciuto; il quale Marchese per privilegio lo fece uno de’ suoi camerieri, come per uno instrumento, che è in Verona appresso gl’eredi, si vede. Fece il ritratto di detto signore e della moglie, e molti quadri che mandarono in Francia, et il ritratto parimente di Guglielmo lor primogenito ancor fanciullo, e così quegli delle figliuole e di tutte le dame che erano al servigio della Marchesana. Morto il marchese Guglielmo, si partì Giovanfrancesco da Casale, avendo prima venduto ciò che in quelle parti aveva, e si condusse a Verona, dove accomodò di maniera le cose sue e del figliuolo, al quale diede moglie, che in poco tempo si trovò esser ricco di più di settemila ducati. Ma non per questo abandonò la pittura, anzi vi attese più che mai, avendo l’animo quieto e non avendo a stillarsi il cervello per guadagnarsi il pane. Vero è che, o fusse per invidia o per altra cagione, gli fu dato nome di pittore che non sapesse fare se non figure piccole. Per che egli, nel fare la tavola della capella della Madonna in San Fermo, convento de’ frati di San Francesco, per mostrare che era calonniato a torto, fece le figure maggiori del vivo e tanto bene, ch’elle furono le migliore che avesse mai fatto. In aria è la Nostra Donna, che siede in grembo a Santa Anna, con alcuni Angeli che posano sopra le nuvole, e a’ piedi sono San Piero, San Giovanbattista, San Roco e San Bastiano, e non lontano è in un paese bellissimo San Francesco che riceve le stimite. Et invero quest’opera non è tenuta dagl’artefici se non buona. Fece in San Bernardino, luogo de’ frati Zoccolanti, alla capella de la croce, Cristo che inginocchiato con una gamba chiede licenza alla madre. Nella quale opera, per concorrenza di molte notabili pitture che in quel luogo sono di mano d’altri maestri, si sforzò di passargli tutti; onde certo si portò benissimo, per che fu lodato da chiunche la vide, eccetto che dal guardiano di quel luogo; il quale con parole mordaci, come sciocco e goffo solenne che egli era, biasimò Giovanfrancesco con dire che aveva fatto Cristo sì poco reverente alla madre, che non s’inginocchiava se non con un ginocchio.