Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/303

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tutta è tenuta da i più eccellenti pittori cosa maravigliosa. Dipinse il medesimo una tavola d’un S. Sebastiano, che poi fu messa alla Madonna delle Grazie fuor di Mantoa; et in questa pose ogni estrema diligenza e vi ritrasse molte cose dal naturale. Dicesi che andando il Marchese a vedere lavorare Francesco mentre faceva quest’opera (come spesso era usato di fare), che gli disse: "Francesco, se’ si vuole in fare questo Santo pigliare l’essempio da un bel corpo". A che rispondendo Francesco: "Io vo immitando un fachino, di bella persona, il qual lego a mio modo per fare l’opera naturale". Soggiunse il Marchese: "Le membra di questo tuo Santo non somigliano il vero, perché non mostrano essere tirate per forza, né quel timore che si deve imaginare in un uomo legato e saettato; ma dove tu voglia mi dà il cuore di mostrarti quello che tu dei fare, per compimento di questa figura". "Anzi ve ne prego, signore", disse Francesco, et egli: "Come tu abbi qui il tuo fachino legato, fammi chiamare, et io ti mostrerò quello che tu dei fare". Quando dunque ebbe il seguente giorno legato Francesco il fachino in quella maniera che lo volle, fece chiamare segretamente il Marchese, non però sapendo quello che avesse in animo di fare. Il Marchese dunque uscito d’una stanza, tutto infuriato con una balestra carica corse alla volta del fachino, gridando ad alta voce: "Traditore, tu se’ morto, io t’ho pur colto dove io voleva", et altre simili parole; le quali udendo il cattivello fachino, e tenendosi morto, nel volere rompere le funi con le quali era legato, nell’aggravarsi sopra quelle e tutto essendo sbigottito, rappresentò veramente uno che avesse ad essere saettato, mostrando nel viso il timore e l’orrore della morte, nelle membra stiracchiate e storte per cercar di fuggire il pericolo. Ciò fatto, disse il Marchese a Francesco: "Eccolo acconcio come ha da stare, il rimanente farai per te medesimo". Il che tutto avendo questo pittore considerato, fece la sua figura di quella miglior perfezzione che si può imaginare. Dipinse Francesco, oltre molte altre cose, nel palazzo di Gonzaga la creazione de’ primi signori di Mantoa, e le giostre che furono fatte in sulla piazza di S. Piero, la quale ha quivi in prospettiva. Avendo il Gran Turco per un suo uomo mandato a presentare al Marchese un bellissimo cane, un arco et un turcasso, il Marchese fece ritrarre nel detto palazzo di Gonzaga il cane, il Turco che l’aveva condotto e l’altre cose. E ciò fatto, volendo vedere se il cane dipinto veramente somigliava, fece condurre uno de’ suoi cani di corte nimicissimo al cane turco, là dove era il dipinto, sopra un basamento finto di pietra; quivi dunque giunto il vivo, tosto che vide il dipinto, non altrimenti che se vivo stato fusse, e quello stesso che odiava la morte, si lanciò con tanto impeto, sforzando chi lo teneva, per adentarlo, che percosso il capo nel muro tutto se lo ruppe. Si racconta ancora da persone che furono presenti, che avendo Benedetto Baroni nipote di Francesco un quadretto di sua mano, poco maggiore di due palmi, nel quale è dipinta una Madonna a olio dal petto in su quasi quanto il naturale et il canto a basso il Puttino, dalla spalla in su, che con un braccio steso in alto sta in atto di carezzare la madre, si racconta, dico, che quando era l’imperatore padrone di Verona, essendo in quella città don Alonso di Castiglia, et Alarcone famosissimo capitano per sua maestà e per lo re catolico, che questi signori, essendo in casa del conte Lodovico da Sesso Veronese, dissero avere gran disiderio di veder questo quadro: per che, mandato per esso, si stavano una sera contemplandolo a buon lume et amirando l’artificio dell’opera, quando la signora Caterina,