Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/75

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che egli fece al grazioso Raffaello Sanzio da Urbino, pittor celebratissimo, che da lui fu condotto a Roma. Sempre splendidissimamente si onorò e visse, et al grado, dove i meriti della sua vita l’avevano posto, era niente quel che aveva a petto a quello che egli avrebbe speso. Dilettavasi de la poesia, e volentieri udiva e diceva in proviso in su la lira, e componeva qualche sonetto, se non così delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti. Fu grandemente stimato dai prelati e presentato da infiniti signori che lo conobbero. Ebbe in vita grido grandissimo e maggiore ancora dopo morte, perché la fabbrica di San Piero restò a dietro molti anni. Visse Bramante anni 70 et in Roma con onoratissime esequie fu portato dalla corte del papa e da tutti gli scultori, architettori e pittori. Fu sepolto in San Piero l’anno MDXIIII. Fu di grandissima perdita all’architettura la morte di Bramante, il quale fu investigatore di molte buone arti ch’aggiunse a quella, come l’invenzione del buttar le volte di getto, lo stucco, l’uno e l’altro usato dagli antichi, ma stato perduto da le ruine loro fino al suo tempo. Onde quegli che vanno misurando le cose antiche d’architettura, trovano in quelle di Bramante non meno scienza e disegno che si faccino in tutte quelle. Onde può rendersi a quegli che conoscono tal perfezzione, uno degli ingegni rari che hanno illustrato il secol nostro. Lasciò suo domestico amico Giulian Leno, che molto valse nelle fabbriche de’ tempi suoi, per provedere et eseguire la volontà di chi disegnava più che per operare di man sua, se bene aveva giudizio e grande sperienza. Mentre visse Bramante fu adoperato da lui nell’opre sue Ventura, fallegname pistolese, il quale aveva bonissimo ingegno e disegnava assai aconciamente; costui si dilettò assai in Roma di misurare le cose antiche, e tornato a Pistoia per rinpatriarsi seguì che l’anno 1509 in quella città una Nostra Donna, che oggi si chiama della Umiltà, fece miracoli, e perché gli fu porto molte limosine, la Signoria che allora governava, deliberò fare un tempio in onor suo; per che pòrtosi questa occasione a Ventura, fece di sua mano un modello d’un tempio a otto facce largo braccia... et alto braccia... con un vestibulo o portico serrato dinanzi, molto ornato di drento e veramente bello, dove piaciuto a que’ signori e capi della città, si cominciò a fabricare con l’ordine di Ventura, il quale, fatto i fondamenti del vestibulo e del tempio e finito a fatto il vestibulo che riuscì ricco di pilastri e cornicioni d’ordine corinto e d’altre pietre intagliate, e con quelle anche tutte le volte di quell’opera furon fatti a quadri scorniciati pur di pietra pien di rosoni. Il tempio [a] otto facce fu anche di poi condotto fino alla cornicie ultima, dove s’aveva a voltare la tribuna; mentre che egli visse Ventura e per non esser egli molto sperto in cose così grandi non considerò al peso della tribuna, che potesse star sicura, avendo egli nella grossezza di quella muraglia fatto nel primo ordine delle finestre e nel secondo dove son le altre un andito che camina a torno, dove egli venne a indebolir le mura ché, sendo quello edifizio da basso senza spalle, era pericoloso il voltarla e massime negli angoli delle cantonate dove aveva a pignere tutto il peso della volta di detta tribuna. Là dove doppo la morte di Ventura non è stato architetto nessuno che gli sia bastato l’animo di voltalla, anzi avevon fatto condurre in sul luogo legni grandi e grossi di alberi per farvi un