Pagina:Venezia – Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Vol. III, Parte I, 1916 – BEIC 1905987.djvu/135

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si usavano verso il popolo, verso la plebe, verso i sudditi, verso povera gente di contadi, e infine verso la patria, clie si vedeva non in mano di un solo, ma di tanti odiosi tiranni, pieni del sangue de’ poveri, d’ingiurie, di vendette, usurpandosi gli onori publici e le publiche entrate e quelle dilapidando senza pensar punto alla salute publica e privata, qual suol sempre camminare col solo beneficio della patria, la quale non poteva essere oppressa se non dal male operare degli stessi suoi cittadini. E mi ricordo che, ritrovandomi io col clarissimo niesser Carlo Capello, allora ambasciatore in Fiorenza, nel tempo della mal governata republica, il detto signore, che era pieno di dottrina e di spirito, mi disse un di, vedendosi tante miserie, che quello Stato tanto tumultuosamente governato non poteva durare molto tempo, e predisse la rovina sua e la sua servitú; la qual vedemmo poi fra pochi mesi, con quelle lacrimose ed atrocissime calamitá che tuttavia sono nella memoria delle eccellentissime Signorie Vostre. Onde il signore Iddio permise che fossero sottomessi ad un prencipe solo: il che finalmente è ritornato in beneficio di tutti; perché ora, con la presenza del tremendo prencipe e spaventevole, tutte le cose sono tornate a’ suoi primi principi. E tanto è il terrore delle severe e súbite esecuzioni, e tanto è potente ed esecutivo il braccio della sua giustizia (che tocca tutti gli ordini, senza rispetto di persona alcuna), che, se bene stanno soggetti con infinito rammarico e cordoglio, stanno però in pace ed in quiete, né piú si sente disordine né perturbazione alcuna fra loro, avendo il signor Iddio cavato da tanti detestandi mali questo bene: che ciascuno sta sicurissimo nello stato suo, purché stia ne’termini dell’obbedienza.] Poiché io mi sono cosí brevemente ispedito in dir li particolari del Stato di Fiorenza, con la istessa brevitá farò il medesimo del Stato di Siena. II qual, per la bontá sua e per la sua bellezza e richezza e per la domestica conversazione delle genti, è chiamato il giardin d’Italia, perché da questo si cavano tutti li piú preciosi frutti ed in quello vi si veggono tutte le delizie ; e questo nasce dall’abondanza e dalla fertilitá del paese, la qual è tale, che con un buon raccolto si può dire che si raccoglie il vivere Relar.ioni degli ambasciatoti veneti al Senato ■ ili. 9