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Paggio Fernando 59

una carezza. Essa chinavasi sempre più sul lavoro, quasi vinta, scoprendo la nuca bianca. Poscia si sollevò con un sospiro lungo di cui non si udì il suono, appoggiando le spalle alla seggiola, colle mani abbandonate sul grembo, la testa all’indietro, il viso pallido, la bocca semiaperta, gli occhi languidi di dolcezza che si fissavano su di lui.

Ma quello sfacciato di Barbetti non se ne dava per inteso. Sembrava anzi che si pigliasse da sè la sua parte di confidenza e d’intimità in casa dei comici. Era lì ogni sera, stuzzicando la ragazza a fare il chiasso, bevendo il vino di don Gaetanino, giuocando a briscola col signor Olinto, sparlando di questo e di quello. – Da artisti! Una vita quieta e tranquilla, che si sarebbe dimenticato volentieri di cercar le piazze e le scritture, in quell’angolo del mondo! – diceva il capocomico. Quando non c’era l’amico Barbetti, faceva dei solitari, o si esercitava in certi giuochi di mano coi quali aveva messo sossopra dei teatri. Don Gaetanino, purchè lo lasciassero quieto nel suo cantuccio, portava nelle tasche del cappotto salsicciotti e altri salumi, che piacevano tanto alla mamma, felicissimo quando poteva starsene insieme alla Rosmunda, colle mani intrecciate, guardandosi negli oc-