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via Larga, e fece rimettere il suo biglietto di visita alla contessa.

Ella venne ad incontrarlo all’uscio della sala. Era troppo gran dama per fargli nessuna domanda; ma era troppo donna per resistere alla tentazione di lanciare la sua unghiata.

— Che fortuna?... finalmente! gli disse stendendogli la mano.

Alberto sembrava calmo, ed aveva un sorriso nervoso che poteva passare per disinvoltura. Sedendole accanto sul canapè, la ringraziò di aver tolto la consegna che gli vietava di passare la porta di lei.

— Non mi ringrazî, chè non ci ho nessun merito.... rispose l’Armandi piantandogli in volto come punti interrogativi gli occhi e il sorriso.

Era ancora troppo presto, e la contessa ed Alberti stettero soli una mezz’ora a discorrere di cose indifferenti.

— E le signore Manfredini? domandò sbadatamente l’Armandi.

— Verranno più tardi.... probabilmente.

La contessa lasciò passare quel probabilmente, e cambiò discorso.

A poco a poco incominciarono a venire gli amici di casa, e l’Armandi presentava il marchese Alberti come se fosse arrivato dall’Australia. La conversazione si fece generale. Verso le undici entrarono le Manfredini coll’inseparabile Don Ferdinando. La contessa, alzandosi per andarle a ricevere, strinse furtivamente la mano ad Alberto, e gli susurrò sottovoce queste parole: