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sicchè fu quasi il conte che dovette presentare Alberto alla moglie.

— Mia cara Emilia, vi son grato d’avermi fatto riannodare una vecchia conoscenza di famiglia.

— Finalmente! diss’ella ad Alberto stendendogli la mano.

Come furono riuniti i tre o quattro amici che desinavano in casa Armandi, la contessa prese il braccio dell’ultimo venuto, il capitano Marteni, e passò nella sala da pranzo. Alberto sedette accanto alla signora Rigalli, che stavolta era venuta davvero.

Il capitano Marteni, dei carabinieri piemontesi, era un bellissimo uomo, con una larga cicatrice che gli attraversava mezza la fronte, e con due nastri turchini all’occhiello del suo abito da borghese; egli era amico personale del conte Armandi, che l’aveva indotto a venire a passare il suo mese di permesso sul lago di Como. Il capitano faceva galantemente onore alla tavola, ai suoi ospiti, e alla sua dama, con galanteria un po’ soldatesca. Le signore andavano matte per quel bel militare che s’era acquistato a Custoza ed a Goito i suoi nastri e la sua cicatrice, e ne parlavano tanto che il capitano da uomo di spirito, avea cercato due o tre volte di cambiar discorso, ed infine s’era salvato colla contessa, andando a prendere il caffè nel salotto.

La contessa in tutta la sera non avea rivolto che pochissime volte gli sguardi e la parola ad Alberti. I commensali avevano seguito in sala la prima coppia e si erano fermati in diversi gruppi. Alberto era andato