Pagina:Verga - Eros, 1884.djvu/243

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Ella, dopo lunghe esitazioni, gli avea fatto vedere tutti i ricordi di lui che avea conservato religiosamente: il bottone del guanto che gli avea rimesso la sera che erano andati a villa Armandi, il fiore disseccato ch’ei avea lasciato cadersi dall’occhiello, la corteccia d’albero ch’egli avea staccato col temperino, il foglio spiegazzato su cui s’erano divertiti a schizzare degli sgorbi e delle caricature, seduti al medesimo tavolo, sotto la medesima lucerna, mentre la pioggia scrosciava allegramente sui vetri. Egli, che avea buttato dalla finestra al vento di cento città, o sulla cenere di cento caminetti, le lettere d’eterno amore di donne che aveano messo in giuoco la loro vita e quella di lui per un capriccio, non arrivava a comprendere del tutto la tenacità di quel sentimento che rendeva preziosi quegli oggetti insignificanti. — Tra di loro due che s’amavano tanto, ch’erano così intimamente legati, c’era sempre un abisso che egli non osava confessare a sè stesso, e che ella non voleva vedere, e per non vederlo chiudeva gli occhi.

L’ottica delle loro idee era immensamente diversa: il cuore della donna, giovane, fresco, ricco, era lieto d’amare, s’attaccava alla felicità, ci credeva senza esitazioni, ci si abbandonava con fiducia. Alberto non possedeva più nè cotesta fede, nè cotesto entusiasmo, nè cotesta serenità; la vita che avea menato avea alterato profondamente il suo modo di vedere e di giudicare; avea osservato e studiato le passioni in sè e negli altri, ma non le avea mai combattute, e, disgraziata-