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sugli occhi, gettò il suo velo all’indietro, e si volse a guardarmi fisamente, coi suoi grandi occhi azzurri spalancati, senza dir motto, con un’aria di curiosità insistente, e quasi fanciullesca. Erasi sdraiata in un angolo del legno, col capo rivolto dalla mia parte; sembrava assai stanca, e faceva scorrere quell’occhio curioso su tutta la mia persona dal capo alle piante. A un tratto si rizzò sulla vita, e mi domandò semplicemente:
— Come vi chiamate?
— Enrico Lanti.
— Quanti anni avete?
— Venticinque.
— Siete da molto tempo in Firenze?
— No, da due mesi.
— Ci resterete ancora del tempo?
— Tre o quattro anni.
— Io partirò in giugno, mi disse con una lieve tinta d’ingenua malinconia.
Aveva la voce sonora, di quella sonorità, ch’è dolce come una musica.
E s’abbandonò sui cuscini, appoggiò la testa