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artisti da strapazzo. 163

torno a un omettino in tuba il quale gesticolava colle mani in aria. La donna invece si ostinava, col viso sfacciato, cercando cogli occhi nella folla i suoi adoratori. Un tale, vestito da operaio, coi baffi grossi e la faccia dura, si arrampicò sul tavolato in mezzo ai fischi che assordavano, e prese la cantante per le spalle, spingendola verso due questurini in uniforme che s’erano fatti largo a furia di spintoni, e agitavano le braccia. Il gruppo scomparve nella folla, verso la cucina, fra un uragano di fischi, d’urli e di risate. Il baritono si dimenava come un ossesso, smanacciando, gridando: — Bravo! bis! — poi corse a stringere la mano al maestro, ancora sbalordito dinanzi al pianoforte.

— Che cagnara, eh! Ma la colpa non è tua, poveretto! Ci ho gusto per quella carogna della padrona, la quale pretendeva di averne le tasche piene di musica seria, lei e il suo pubblico. Come se non glielo avessimo fatto noi questo pubblico! E non le avessi fatto guada-