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46 | vagabondaggio. |
zio Antonio, poveretto, non era più quello di prima, e stava lì, sull’uscio dell’osteria, inchiodato dalla paralisi sulla scranna, a salutar la gente che passava, colla faccia da minchione, per tirare gli avventori.
— Benedicite, vossignoria. Che non mi riconoscete più, zio Antonio? — gli disse il merciaiuolo fermandosi a salutarlo. Lo zio Antonio accennava di sì col capo, come pulcinella. Allora don Tinu trasse fuori un bel sigaro e glielo mise nelle mani che tremavano continuamente, posate sulle ginocchia.
Ma l’altro scosse il capo, accennando di no, che non poteva. Don Tinu, per cortesia, gli chiese infine di sua moglie, e di comare Filomena, che non si vedevano, nell’osteria deserta; e il vecchio, colle mani tremanti, accennò di qua e di là, lontano, verso il camposanto e verso la città. Per bere un sorso, dovettero sgolarsi a chiamare un ragazzaccio che compare Antonio s’era tirato in casa, onde fare andare l’osteria, e arrivò dall’orticello abbandonato,