Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/223

Da Wikisource.

le più ricche senza dubbio, portavano una giacchetta di seta nera aperta alla vita, sotto un cappuccio od uno scialle molto modesto. Le altre erano vestite semplicemente di tela.

Gambalesta, lui, nella sua qualità di giovane di convinzioni, non guardava senza un certo spavento quelle Mormone incaricate di fare, in molte, la felicità di un solo Mormone. Nel suo buon senso, egli compiangeva sopratutto il marito. Gli pareva terribile cosa avere a guidare tante signore alla volta tramezzo alle vicissitudini della vita, condurle così in frotta sino al paradiso mormone, con la prospettiva di ritrovarvele per l’eternità in compagnia del glorioso Smyth, che doveva formar l’ornamento di quel luogo di delizie. Decisamente egli non si sentiva la vocazione, e trovava, — forse con un po’ d’illusione — che le cittadine di Great-Lake-City lanciavano sulla sua persona degli sguardi un po’ inquietanti.

Fortunatamente il suo soggiorno nella Città dei Santi non doveva prolungarsi. Alle quattro meno qualche minuto i viaggiatori si ritrovavano alla stazione e ripigliavano posto nei loro vagoni.

Il fischio si fece udire, ma al momento che le ruote motrici della locomotiva, pattinando sulle rotaie, cominciavano ad imprimere al treno una certa velocità, si udirono grida di «Fermate! fermate!»

Non si ferma un treno in cammino. Il gentleman, che proferiva queste grida, era evidentemente un Mormone in ritardo. Egli correva a precipizio. Fortunatamente per lui, la stazione non aveva nè porte nè barriere. Egli si slanciò dunque sulla via, saltò sulla predella dell’ultima carrozza, e cadde anelante sopra un sedile del vagone.