Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/278

Da Wikisource.

«Sapete una cosa, capitano?...

— Fogg.

— Capitano Fogg. Ebbene, c’è del Yankee in voi.»

E dopo aver fatto al suo passaggiero ciò che credeva essere un complimento, ei se n’andava, quando Phileas Fogg gli disse:

«Ed ora, questo battello mi appartiene?

— Certamente! Dalla chiglia al pomo degli alberi.... per tutto ciò che è legno, s’intende.

— Fate demolire tutte le parti interne della nave e riscaldate coi rottami.

Immagini il lettore quel che si dovette consumare di legname secco per mantenere il vapore in sufficiente pressione. Quel giorno, il cassaretto, le cabine, gli alloggi, il falso ponte, tutto fu ridotto in cenere.

La domane, 19 dicembre, si abbruciò l’alberatura, le dare, le pennole. Gli alberi furono atterrati, sbocconcellati a colpi d’ascia. L’equipaggio ci metteva uno zelo incredibile. Gambalesta, tagliando, spaccando, segando, faceva il lavoro di dieci uomini. Era un furore di demolizione.

La domane, 20, le impavesate, le gale di bandiere, le opere morte, la maggior parte del ponte, furono divorati. L’Henrietta non era più che una nave rasa come un pontone.

Ma quel giorno si era giunti in vista della costa d’Irlanda e del faro di Fastenet.

Tuttavia, alle dieci di sera, la nave non era che dinanzi a Queenstown, cui volgeva il traverso. Phileas Fogg non aveva più che ventiquattr’ore per portarsi a Londra! Ora, era il tempo che occorreva all’Henrietta per arrivare a Liverpool, — anc