Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/16

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Harbert avrebbe ben voluto serbare il superbo uccello, la cui ferita guarì prontamente e che egli pretendeva d’addomesticare, ma Spilett gli fece comprendere che non si poteva trascurare tale occasione di tentare di mettersi in comunicazione colle terre del Pacifico; onde Harbert dovette arrendersi, pensando che se l’albatro era venuto da qualche regione abitata, non lascierebbe di tornarvi appena fosse libero.

Forse Gedeone Spilett, al quale il cronista faceva capolino qualche volta, non era dolente di lanciare a casaccio una relazione drammatica delle avventure dei coloni dell’isola Lincoln. Qual trionfo per il reporter titolare del New York Herald, e per il numero che conterrebbe la cronaca, se essa giungesse all’indirizzo del suo direttore, l’onorevole John Benett.

Spilett compilò una notizia succinta, che fu messa in un sacco di tela cerata, con preghiera a chiunque la trovasse di farla pervenire agli uffizi del New York Herald. Questo sacchetto fu legato al collo dell’albatro, e non alla sua zampa, perchè codesti uccelli hanno l’abitudine di riposarsi alla superficie del mare, poi fu resa la libertà al rapido corriere dell’aria, e non fu senza commozione che i coloni lo videro sparire lontan lontano nelle brume dell’ovest.

— Dove va? domandò Pencroff.

— Verso la nuova Zelanda, rispose Harbert.

— Buon viaggio! gridò il marinajo, il quale non s’aspettava gran risultati da siffatto modo di corrispondenza.

Coll’inverno erano stati ripigliati i lavori nell’interno del Palazzo di Granito; riparazione delle vestimenta, preparativi diversi, fra cui vele per la barca, che furono tagliate nell’inesauribile invoglio del pallone.

Durante il mese di luglio il freddo fu intenso, ma