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senza dei coloni vi fosse necessaria. Ed era lui che li tratteneva al recinto!
Perciò quest’unica idea gli assediava lo spirito: lasciare il ricinto, lasciarlo ad ogni costo; egli credeva di poter sopportare il trasporto al Palazzo di Granito e diceva che le forze gli tornerebbero più presto nella sua cameretta, coll’aria e colla vista del mare.
Molte volte fece premura a Gedeone Spilett; ma costui, temendo con ragione che le piaghe mal cicatrizzate si riaprissero per via, non dava l’ordine di partire.
Pure avvenne un incidente che indusse Cyrus Smith ed i suoi due amici a cedere ai desiderî del giovane, e sa Dio quanti dolori e quanti rimorsi poteva cagionar loro questa determinazione.
Si era al 29 novembre, erano le sette del mattino, e i tre coloni cianciavano nella camera di Harbert, quando intesero Top mandare vivi latrati.
Cyrus Smith, Pencroff e Gedeone Spilett brandirono i fucili, sempre pronti a far fuoco, ed uscirono di casa.
Top, essendo corso a’ piedi della palizzata, saltava, abbajava, ma per contentezza, non per collera.
— Qualcuno viene.
— Sì.
— Non è un nemico.
— Nab forse?
— O Ayrton?
Erano appena state scambiate queste parole fra l’ingegnere ed i suoi due compagni, quando un corpo, balzando sulla palizzata, ricadeva entro il ricinto.
Era Jup, mastro Jup in persona, al quale Top fece accoglienze da vero amico.
— Jup! esclamò Pencroff.
— È Nab che ce lo manda, disse il reporter.
— Allora deve aver qualche biglietto, disse Cyrus Smith.