Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/255

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lungata sulle zampe, non dava alcun indizio d’inquietudine.

Alle otto, la sera parve tanto innoltrata da permettere una ricognizione. Gedeone Spilett si dichiarò pronto a partire in compagnia di Pencroff, e Cyrus Smith vi acconsentì. Top e Jup dovettero rimanere coll’ingegnere, con Harbert e con Nab, giacchè non bisognava che un latrato od un grido inopportuno desse la sveglia.

— Non v’impegnate imprudentemente in una lotta, raccomandò Cyrus Smith al marinajo ed al reporter. Voi non dovete già prendere possesso del ricinto, ma solo riconoscere se è occupato o no.

— Siamo intesi, rispose Pencroff.

Ed entrambi partirono.

Sotto gli alberi, in grazia del fogliame folto, una certa oscurità rendeva già invisibili gli oggetti oltre un raggio di trenta o quaranta piedi. Il reporter e Pencroff arrestavansi appena un rumore qualsiasi sembrava loro sospetto, e andavano innanzi con somma precauzione.

Camminavano l’uno separato dall’altro, per offrir meno bersaglio alle schioppettate. E, per dir tutto, s’aspettavano ad ogni istante di udire uno sparo.

Cinque minuti dopo d’aver lasciato il carro, Gedeone Spilett e Pencroff erano giunti sul lembo del bosco, dinanzi alla radura, in fondo alla quale sorgeva la cinta di palizzate.

S’arrestarono. Incerti bagliori mandavano ancora le praterie sguernite d’alberi. A trenta passi sorgeva la porta del ricinto, che sembrava chiusa. Codesti trenta passi, che si trattava di superare, fra il lembo del bosco e la cinta, formavano la zona pericolosa, per usare una frase di balistica. In fatti, una o più palle partite dalla cresta della palizzata avrebbero atterrato chiunque si fosse arrischiato su quella zona.

Gedeone Spilett ed il marinajo non erano uomini