Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/290

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Ma i fuochi sotterranei dovevano essi cagionare qualche eruzione violenta?

Ecco una cosa che non si poteva prevenire. Pure, anche ammettendo l’ipotesi d’un’eruzione, era probabile che l’isola Lincoln non avesse a soffrire nel suo insieme, giacchè gli scoli delle materie vulcaniche non sempre sono disastrosi.

Già l’isola era stata posta a questa prova, come attestavano gli scoli di lave che erano nelle coste settentrionali della montagna. Inoltre la forma del cratere e la galleria aperta sul suo vertice dovevano spingere le materie eruttate alla parte non fertile dell’isola. Pure il passato non impegnava necessariamente l’avvenire.

Spesso sulla vetta dei vulcani, antichi crateri si chiudono e se ne aprono di nuovi. Il fatto avvenne nei due mondi, nell’Etna, nel Popocatepelt, nell’Orizaba, e alla vigilia d’un’eruzione si può temere ogni cosa. Bastava un terremoto, fenomeno che accompagna talvolta le effusioni vulcaniche, perchè le disposizioni interne della montagna fossero modificate e nuove vie s’aprissero alle lave incandescenti.

Cyrus Smith spiegò tali cose ai compagni, e, senza esagerare la situazione, ne fece loro conoscere il pro e il contro.

Infine non ci si poteva nulla. Il Palazzo di Granito, tranne per un terremoto che commovesse il suolo, non pareva dover essere minacciato. Ma per il ricinto avevasi tutto da temere se qualche nuovo cratere si aprisse nelle pareti sud del monte Franklin.

Da quel giorno i vapori non cessarono di librarsi sulla vetta della montagna, e si potè anzi riconoscere che crescevano d’altezza e di densità, senza che alcuna fiamma si mescesse alle loro dense volute.

Il fenomeno si concentrava ancora nella parte inferiore del cratere del vulcano.

Peraltro, col bel tempo furono ripresi i lavori. Si