Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/294

Da Wikisource.


“Venite subito al ricinto.”

– Finalmente! esclamò Cyrus Smith.

Sì! finalmente! il mistero stava per svelarsi. In faccia a quest’immenso interesse che li spingeva ora al ricinto, ogni stanchezza dei coloni era scomparsa, cessato ogni bisogno di riposo. Senza aver proferito parola, in pochi istanti essi avevano lasciato il Palazzo di Granito e si trovavano sul greto. Soli Jup e Top erano rimasti, potendosi far di meno di essi.

La notte era nera. La luna, nuova in quel giorno, era scomparsa insieme col sole. Come aveva fatto osservare Harbert, grosse nuvole d’uragano formavano una vôlta bassa e greve che nascondeva ogni scintillio di stelle. Alcuni lampi di calore, riflessi di una burrasca lontana, illuminavano l’orizzonte. Era possibile che alcune ore più tardi la folgore scoppiasse sull’isola medesima. Era una notte minacciosa.

Ma l’oscurità, per quanto fosse profonda, non poteva arrestare persone avvezze a quella via del ricinto. Risalirono essi la riva manca della Grazia, giunsero all’altipiano, passarono il ponte del rivo Glicerina e s’avanzarono attraverso la foresta.

Camminavano di buon passo, in preda ad una vivissima commozione. Per essi non era dubbio che andassero finalmente ad apprendere la tanto ricercata parola dell’enimma, il nome di quell’essere misterioso così profondamente penetrato nella loro vita, così generoso nella sua influenza, così potente nella sua azione. E infatti non doveva forse quell’incognito conoscere ogni minimo particolare della loro esistenza e intendere tutto quanto si diceva al Palazzo di Granito, per aver sempre potuto agire al momento buono?

Ciascuno, immerso nelle sue riflessioni, affrettava il passo; sotto quella vôlta d’alberi, l’oscurità era tanta che il lembo della via non si vedeva nemmeno.

Del resto, nessun rumore nella foresta. Quadrupedi ed uccelli, cedendo alla gravezza dell’atmosfera, sta-