Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/44

Da Wikisource.

Fu gettata l’áncora, furono ammainate le vele, e l’equipaggio pose piede a terra. Non era da dubitare che fosse quella l’isola Tabor, poichè, stando alle carte più recenti, non esisteva altra isola in quella parte del Pacifico fra la Nuova Zelanda e la costa americana. Il battello fu ormeggiato saldamente, affinchè il riflusso non potesse portarselo via: poi Pencroff ed i suoi due compagni, dopo di essersi bene armati, risalirono la spiaggia per andare sopra una specie di cono alto da dugentocinquanta a trecento piedi, che si ergeva lungi un mezzo miglio.

— Dalla vetta di questa collina, disse Gedeone Spilett, potremo senza dubbio farci un’idea dell’isolotto, e ciò renderà facili le nostre ricerche.

— Si tratta di fare, rispose Harbert, quello che il signor Cyrus ha fatto a bella prima nell’isola Lincoln, arrampicandosi sul monte Franklin.

— Per l’appunto, disse il reporter; è questa la miglior maniera di procedere.

Così discorrendo, gli esploratori s’avanzavano seguendo il lembo d’una prateria che terminava proprio ai piedi del cono. Si levavano intorno ad essi stormi di colombi e di rondini marine simili a quelle dell’isola Lincoln. Sotto il bosco che rasentava la prateria a mancina, intesero fremiti di cespugli ed intravidero un muovere d’erbe che segnalava la presenza d’animali selvatici, ma nulla indicava che l’isolotto fosse abitato.

Giunti al piede del cono, Pencroff, Harbert e Gedeone Spilett vi si arrampicarono in fretta, ed i loro sguardi scorsero tutto l’orizzonte. Erano proprio sopra un isolotto che non aveva più di sei miglia di circuito, ed il cui perimetro, poco frastagliato di capi e promontori, di baje o di seni, presentava la forma d’un ovale allungato. Tutt’intorno il mare, assolutamente deserto, si stendeva fino ai confini del cielo. Non una terra, non una vela in vista!