Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/83

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fuorchè un coltello, si precipitò sulla belva formidabile, la quale si volse contro il nuovo avversario.

La lotta fu breve. L’incognito era d’una forza e d’una destrezza prodigiosa. Aveva egli afferrato lo jaguaro alla gola con una mano poderosa come una morsa, senza badare che gli artigli della belva gli penetravano nelle carni, e coll’altra le frugava il cuore col coltello.

Lo jaguaro cadde. L’incognito lo spinge col piede e stava per fuggirsene nel momento in cui i coloni giungevano sul teatro della lotta, quando Harbert, aggrappandosi a lui, esclamò:

— No, no, non ve ne andrete!

Cyrus Smith mosse verso l’incognito, cui si corrugarono le sopracciglia quando lo vide avvicinarsi. Il sangue scorreva dalla sua spalla sotto la veste lacerata, ma egli non vi badava.

— Amico mio, gli disse Cyrus Smith, abbiamo contratto un debito di riconoscenza verso di voi. Per salvare il figlio nostro avete arrischiata la vita.

— La mia vita! mormorò l’incognito, che vale? Meno di nulla.

— Siete ferito?

— Poco importa.

— Volete darmi la vostra mano?

E siccome Harbert cercava di afferrar quella mano che l’aveva salvato, l’incognito incrociò le braccia; gli si gonfiò il petto, gli si velò lo sguardo; parve voler fuggire, ma, facendo un violento sforzo sopra sè stesso, disse bruscamente:

— Chi siete? Che pretendete d’essere per me?

Era la storia dei coloni ch’egli così domandava e per la prima volta. Forse, raccontata quella storia, egli doveva dire la sua.

In poche parole, Cyrus Smith narrò tutto quanto era accaduto dopo la loro partenza da Richmond, come si fossero cavati d’impaccio e quali mezzi aves-