Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/85

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Per alcuni giorni la vita comune continuò dunque ad essere quella che era stata. Cyrus Smith e Gedeone Spilett lavoravano insieme, ora chimici, ora fisici. Il reporter non lasciava l’ingegnere se non per andar alla caccia con Harbert, giacchè non sarebbe stato prudente che il giovinetto vagasse solo per la foresta, e bisognava tenersi in guardia. Quanto a Nab e Pencroff, un giorno nelle stalle o nel cortile, un altro nel ricinto, senza contare i lavori al Palazzo di Granito, non avevano da stare in ozio.

L’incognito lavorava in disparte ed aveva ripreso la sua esistenza abituale, non pigliando parte ai pasti, coricandosi sotto gli alberi dell’altipiano, non mischiandosi mai ai compagni. Pareva invero che la compagnia di coloro che lo avevano salvato gli riuscisse insopportabile.

— Ma allora, faceva osservare Pencroff, perchè ha egli reclamato il soccorso dei suoi simili, perchè ha egli gettato quel documento in mare?

— Ce lo dirà, rispondeva invariabilmente Cyrus Smith.

— Quando?

— Forse più presto che non crediate, Pencroff.

Infatti il giorno delle confessioni era vicino. Il 10 dicembre, una settimana dopo il suo ritorno al Palazzo di Granito, Cyrus Smith vide venirgli incontro l’incognito, il quale con voce pacata ed in tono umile gli disse:

— Signore, avrei una domanda da farvi.

— Parlate, rispose l’ingegnere; ma prima lasciate che vi faccia io una domanda.

A queste parole l’incognito si fece rosso, e fu lì lì per andarsene. Cyrus Smith comprese quanto accadeva nell’anima del colpevole, il quale temeva, senza dubbio, che l’ingegnere l’interrogasse sul suo passato.

Lo trattenne colla mano e gli disse: