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capitolo xvi. 65



XVI.


In cui il lettore intelligente si accorge che egli aveva indovinato, non ostante tutte le precauzioni dell’autore.


Dopo lo scoppio, Quiquendone era immediatamente ridivenuta la città placida, flemmatica e fiamminga d’una volta.

Dopo lo scoppio, che del resto non cagionò profonda commozione, ciascuno, senza sapere perchè, macchinalmente ripigliò la via di casa sua, il borgomastro, appoggiato al braccio del consigliere, l’avvocato Zitto a braccio del medico Custos, Franz Niklausse a braccio del suo rivale Simone Collaert, ciascuno tranquillamente, senza rumore, senza neppure aver coscienza dell’accaduto, e già dimentichi di Virgamen e della vendetta. Il generale era ritornato ai confetti ed il suo aiutante di campo alle caramelle.

Tutto era rientrato nella calma, tutto aveva ripreso la vita solita; uomini ed animali, animali e piante, perfino la torre della porta di Audenarde, che l’esplosione — queste esplosioni talvolta sono meravigliose — che l’esplosione aveva raddrizzata! E quindi innanzi non mai parola più alta dell’altra, non mai discussione nella città di Quiquendone, non politica nè circoli, nè processi, nè guardie urbane! La carica del commissario Passauf cominciò ad essere una sinecura, e se non gli si tolse lo stipendio, gli è che il consigliere ed il borgomastro non seppero risolversi a prendere una deliberazione in proposito. Del resto, di tanto in tanto egli continuava ad apparire, senza saperlo, nei sogni dell’inconsolabile Tatanemanzia.