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Pagina:Verri, Alessandro – Le notti romane, 1967 – BEIC 1958204.djvu/15

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NOTTE I - COLLOQUIO I


nel fango, un sonno, e piú volte intesi ch’egli appellava ignoranza ogni umana dottrina.

Il suo discorso procedea come largo fiume con trascorrimento maestoso, a cui la consonanza e la magnificenza delle parole apportavano dignitá e splendore. S’innalzava di poi a ragionare della virtú con sublimi sentenze, nel quale argomento parea lo spettro vie piú contemplativo nel volto quasi agitato da altissimi concetti. Era quindi la sua voce or depressa or forte, or lenta or concitata, or placida or minacciosa, corrispondente alla varietá de’ pensieri. Egli accennava che le umane virtú non altro sono che imperfette imitazioni in paragone della virtú sempiterna; ch’elle, quasi gemme involte in zolla, rilucono di falso splendore, o talvolta si confondono co’ vizi contrari, o sono costrette a seguitare il corso variabile delle opinioni. Una sola pertanto essere la perfetta virtú, la eterna, immutabile, invincibile, divina. Esortava di poi quelle anime dolenti a non sospirare la perduta vita mortale, né querelarsi veggendo ivi le spoglie del caduco ingombro ch’ebbero in quella, ma sorgendo alla contemplazione dell’empireo e della magnificenza divina, tollerassero degnamente l’irrevocabile decreto che le avea sciolte a vita immortale.

Mentre egli cosí ragionava, tutti gli spettri lo ascoltavano con silenzio maraviglioso. Quelli però i quali aveano aspetto virile e marziale, si mostravano paghi di que’ filosofici argomenti; ma quelli de’ fanciulli e delle donne, per lo contrario, manifestavano tristezza, e co’ loro sospiri davan segno di bramare questa vita nuovamente. Ma l’inviolabile confine li trattenea. I miserelli bambini stendeano le braccia alle madri; e queste, ancora con umano affetto, stringeano i parti loro, e pareano ricercare dolenti la luce del cielo. Io percosso da pietá e da maraviglia non ben distinguea se fossi in questa terra, e vivo, rimanendo i miei sensi ammaliati da quelle immagini e da quelle parole. Io giá sentiva con diletto inesplicabile il suono della antica lingua, né piú dubitava che quella non fosse l’anima illustre di alcun romano oratore. Ma poich’egli tacque, le ascoltatrici larve di nuovo si ricoverarono negli avelli, e solo rimase quella che avea favellato. Io venni pure nel mezzo, e fatto superiore alle consuete forze mie da quella por