Pagina:Verri - Osservazioni sulla tortura, Milano 1843.djvu/62

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ne riferirò soltanto parte. «Io mi maraviglio, dice quest’autore, che noi Cristiani riteniamo tuttavia delle usanze gentilesche, e ostinatamente le difendiamo; usanze non solamente opposte alla carità cristiana, ma alla stessa umanità:» Miror Christianos homines tam multa gentilia, et ea non modo charitati et mansuetudini christianae contraria, sed omni etiam humanitate, mordicus retinere. Indi soggiunge: «Qual’è mai questa pretesa necessità di tormentare gli uomini, necessità deplorabile, e che, se fosse fattibile, dovrebbe con un rivo di lacrime cancellarsi, se la tortura non è utile, anzi se se ne può far senza, nè perciò ne verrebbe danno alcuno alla sicurezza pubblica? E come vivono adunque sì gran numero di nazioni anche barbare, come le chiamano i Greci ed i Latini, le qual nazioni credono feroce e orrenda cosa torturare un uomo, della di cui reità si dubita?..... Non vediamo noi ben sovente degl’infelici che incontrano la morte anzichè poter sopportare lo spasimo, e si accusano di un delitto non commesso, certi del supplizio, per evitare la tortura? In vero debbe aver l’animo da carnefice chi può reggere alle lacrime, ai gemiti, alle estreme angosce espresse dallo spasimo di un uomo che non sappiamo se sia reo. E una così acerba, così iniqua pratica lasciamo noi che domini sul capo di ciascuno di noi?» Quae est enim ista necessitas tam intollerabilis et tam plangenda, etiam si fieri potest fontibus lacrymarum irriganda, si nec utilis est, et sine damno rerum publicarum tolli potest? Quomodo vivunt multae gentes et quidem barbarae, ut Graeci et Latini putant, quae ferum et immane arbitrantur torqueri hominem, de cujus facinore dubitatur... An non frequentes quotidie videmus, qui mortem perpeti malint quam tormenta, et fateantur fictum crimen de supplicio certi, ne torqueantur? Profecto, carnifices animos habemus, qui sustinere possumus gemitus et lacrymas, tanto cum dolore expressas, hominis quem nescimus sit ne nocens. Quid quod acerbam et per quam iniquam legem sinimus in capita nostra dominari? Nè fra i criminalisti medesimi mancò mai un numero di uomini più ragionevoli e colti, che detestarono l’uso dei tormenti: così lo Scalerio, il Nicolai, Ramirez de Prado1, Segla2, Rupert3, il Weissenbac, il Wesembeccio e simili: l’ultimo4 chiama la tortura una invenzione diabolica, portata dall’inferno per tormentare gli uomini: inventum diabolicum ad excruciandos homines de tormentis infernalibus allatum. E il Mattei nel suo trattato De criminibus5 ha scritto contro l’uso de tormenti; e il Tommasi6 dice, che onestamente confessa che la tortura è cosa iniqua

  1. Pentecontarcos, Cap. IX.
  2. Nota 36 a una sentenza del Parlamento di Tolesa.
  3. Cap. 4, Lib. VII.
  4. Æconom., sotto questo tit.
  5. Tit., De quaest., Cap. V.
  6. Program., num. 27.