Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/51

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milton e galileo. 37

Ombreggiati d’aranci e di cipressi
Il memore sedil, dove posava
Muto guardando la natal marina
330Il Grande melanconico e piangea.
Piene dell’alta deità le selve
Mi parean: per l’immoto aere melodi
Correre udiva e arcane consonanze
D’arpe celesti. Perocchè la Musa
335Che d’Aminta le pene e di Goffredo
L’armi cantato avea, di Dio lo Spiro
Che feconda l’abisso e l’universo
Ordinando distingue in Sette Giorni,
Fra quelle piante celebrò. Gran tela
340Di battaglie e d’amori io nel pensiero
Ordita avea giovenilmente. Un lampo
Sperse que’ sogni e mi spirò subbietto,
Che virtù nova dalla tua parola
Attinge, o Galileo. Veglio divino!
345Poi che sinistro antiveder t’accora,
E paventi che tumida d’orgoglio
Scïenza contro Dio l’armi non prenda;
Io rammentando al secolo superbo
L’antico fallo, ond’abbia esempio e freno,
350Dell’uom la prima inobbedienza e ’l frutto
Canterò del vietato arbore, amaro
Frutto letal, che sulla terra addusse
Onda infinita di sciagure e morte,
Oltre l’Eden perduto; infin che scende