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Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/178

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154 la scritta.


Un mantello di panno da eremita,
     Tra la maglia di lana e il giustacuore
     D’un cingolo di cuoio stretta la vita.

Corto di storia, il povero signore
     Lo prese per un buttero, e tra ’l sonno
     Gli fece un gesto e brontolò: va fuore.

Sorrise e disse: io son l’arcibisnonno
     Del nonno tuo, lo stipite de’ tuoi,
     Nato di gente che vendeva il tonno.

Oh via non mi far muso, e non t’annoi
     Conoscer te d’origine sì vile,
     Comune, o nobilucci, a tutti voi.

Taccio come salii su, dal barile
     Di quel salume; ma certo non fue
     Nè per onesta vita mercantile,

Nè per civil virtù, che d’uno o due
     Prese le menti, ond’ei poser nell’arme
     Per tutta nobiltà l’opere sue.

Sai che la nostra età fu sempre in arme:
     Io per quel mar di guerre e di congiure
     Tener mi seppi a galla e vantaggiarme.

Ma tocche appena le magistrature,
     Fui posto al bando, mi guastâr le case,
     E a due dita del collo ebbi la scure.

A piedi, con quel po’ die mi rimase,
     Giunsi a Parigi, e un mio concittadino
     D’aprir bottega là mi persuase.

Un buco come quel di un ciabattino
     Scovammo; e a forza di campare a stento,
     E di negar Gesù per un quattrino,

N’ebbi il guadagno del cento per cento:
     Quindi a prestar mi detti e feci cose,
     Cose che a raccontarle è uno spavento.