Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/204

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180 l'amor pacifico.


La sera, quando s’avvicina l’ora
     D’andare alla burletta o alla commedia,
     Veneranda che mastica e lavora,
     Senza scrollarsi punto dalla sedia
     Sbadiglia e poi domanda: il tempo è buono? —
     Stupendo. — Guarda un po’, che ore sono? —

Son l’otto. — Proprio l’otto? Ora mi vesto. —
     Brava. — Ma ti rincresce d’aspettarmi? —
     No, no, vestiti a comodo. — Eh fo presto! —
     (E lì piantati e duri come marmi.)
     Taddeo, che ore sono? — Son le nove. —
     Dunque scappo a vestirmi. — (E non si move.)

Taddeo, che dici, mi vesto di nero? —
     Sì, vestiti di nero. — O la mantiglia
     L’abbia a prendere? — Prendila. — Davvero?
     O se è caldo? — Allora non si piglia. —
     Così restano in asso, e dopo un pozzo:
     Che ore sono? — Son le dieci e mezzo. —

Diamine! O dove sia la cameriera?....
     Basta, oramai sarà l’ultima scena;
     Che diresti? — Anderemo un’altra sera. —
     Sì, dici bene, è meglio andare a cena. —
     E di questo galoppo, ognuno intende
     Che vanno avanti anco l’altre faccende.

Liti, capricci, chiacchiere, dispetti,
     Non turbano quel nodo arcibeato;
     La Gelosia c’ingrassa di confetti,
     Il Sospetto ci casca addormentato;
     Amor ci va, sbrigata ogni faccenda,
     E credo che ci vada a far merenda.