Pagina:Viaggio in Dalmazia.djvu/117

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mente, come fra noi. Ma quello che fra di noi non si usa fare, i Morlacchi fanno in que’ momenti di lutto; e parlano all’orecchio del cadavere, dandogli commissioni espresse pell’altro mondo. Finite queste cerimonie, il morto è coperto di tela bianca, e portato alla Chiesa, dove si rinuovano i piagnistei, e si canta dalle Prefiche, e dalle parenti la di lui vita piagnendo. Sotterrato ch’egli è, tutta la comitiva insieme col Curato se ne ritorna alla casa, d’ond’è partita; e colà si mangia a crepapancia, stranamente intrecciando le orazioni, e le ciotole. I maschi in segno di scorruccio si lasciano crescere la barba per qualche tempo; costume ch’ebraizza, come quello degli azimi, delle lustrazioni, e varj altri di questa gente. È anche segnale di lutto il color pagonazzo del berretto, o il turchino. Le donne si mettono in capo fazzoletti neri, o turchini; e nascondono tutto il rosso de’ loro abiti col sovrapporvi del nero. Durante il primo anno dall’inumazione d’un qualche loro parente, le Morlacche usano d’andare, per lo meno ogni dì festivo, a fare un nuovo piagnisteo sulla sepoltura, spargendovi fiori, ed erbe odorose. Se talvolta per necessità elleno sono state costrette a mancare, si scusano nelle forme, parlando al morto come se fosse vivo, e rendongli conto minutamente del perché non poterono fargli la dovuta visita. Non di raro gli chiedono anche novelle dell’altro mondo, facendogli curiosissime interrogazioni. Tutto questo si canta in una spezie di verso, e in tuono lugubre. Le giovani, desiderose d’avanzarsi nelle belle Arti della Nazione, accompagnano le donne, che vanno a fare di tali lamenti su le sepolture, e spesso cantano anch’esse formando un duetto veramente funebre.

Eccovi, Mylord, quanto io ò creduto meritare di cader sotto ai riflessi vostri de’ costumi d’una Na-