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782 nota


ripartito in parecchie «sectiones»), egli non si contentasse di formolare, dimostrare ed esemplificare la teoria filosofica della provvidenzialitá immanente della storia, o, come diremmo noi, della razionalitá del reale o della logica interna delle res gestae, nella quale appunto consiste la «costanza della filologia» o riduzione della storiografia a scienza filosofica, ma aggiungesse molte e molte altre e diverse cose. Tali, per ricordare solamente le piú importanti:

a) quella che il Vico chiamerá nelle due Scienze nuove la teoria della «storia ideale eterna» o del «corso uniforme delle nazioni», ossia un tentativo, non, a dir vero, filosofico, ma meramente empirico, di costruire, mercé la generalizzazione di fatti analoghi accaduti nelle singole storie dei singoli popoli, una scienza sociale, contesta di norme o leggi fisse, ricorrenti sempre e dovunque nello svolgimento dei fatti umani (o, com’egli dirá poi, nel «cammino che fanno le nazioni»);

b) l’altra teoria che, nelle due Scienze nuove, verrá chiamata degli «universali fantastici», ossia, al tempo medesimo — a causa d’una confusione tra l’uno e l’altro prodotto spirituale, della quale il Vico non riuscirá a liberarsi mai — una nuova dottrina filosofica del mito e una nuova dottrina filosofica della poesia, del linguaggio e, in genere, di qualsiasi forma espressiva: due dottrine ancora ben lontane dalla quasi compiuta perfezione a cui il Vico le condurrá nell’ultima Scienza nuova e, molto piú che in questa, serbanti scorie empiriche; ma che, non ostante ciò, assicurano al loro autore il merito d’aver fondato sin dal 1720 le scienze modernissime dell’Estetica, della Linguistica filosofica e della Filosofia del mito e della religione;

c) la teoria che il Vico chiamerá poi della «forza (o violenza) generosa fondatrice degli Stati», ossia un’indagine filosofica su quel momento ideale dell’attivitá pratica, per cui, con piena indiscriminazione dalle categorie del bene e del male, l’atto volitivo è vòlto a scopi meramente utilitari: indagine, anch’essa bisognosa dei ritocchi che il Vico v’introdurrá poi, ma che intanto lo indusse, sin dal De constantia, a porre, con ben altra sistematicitá che non i suoi predecessori Machiavelli, Grozio, Hobbes e Tomasio, le basi della Filosofia del diritto e della Filosofia della politica;

d) una serie di canoni ermeneutici — a dir vero ancora oscillanti e non perfettamente ispirati a quell’unicitá e sicurezza di criterio, che il Vico comincerá a raggiungere sin dalle Notae