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204 libro secondo - sezione seconda - capo sesto


476Agli egizi pur Giove fu ’l cielo, in quanto si credeva influire nelle cose sublunari ed avvisar l’avvenire; onde credevano fissare gl’influssi celesti nel fondere a certi tempi l’immagini, ed ancor oggi conservano una volgar arte d’indovinare.

477A’ greci fu anco Giove esso cielo, in quanto ne consideravano i teoremi e i materni altre volte detti, che credevano cose divine o sublimi da contemplarsi con gli occhi del corpo e da osservarsi (in senso di «eseguirsi») come leggi di Giove; da’ quai materni nelle leggi romane «mathematici» si dicono gli astrolaghi giudiziari.

478De’ romani è famoso il sopra qui riferito verso di Ennio:

Aspice hoc sublime cadens, quem omnes invocant Iovem,

preso il pronome «hoc», come si è detto, in significato di «coelum»; ed a’ medesimi si dissero «templa coeli», che pur sopra si sono dette le regioni del cielo disegnate dagli áuguri per prender gli auspici. E ne restò a’ latini «templum» per significare ogni luogo che da ogni parte ha libero e di nulla impedito il prospetto; ond’è «extemplo» in significato di «subito», e «neptunia tempia» disse il mare, con maniera antica, Virgilio.

479De’ Germani antichi narra Tacito ch’adoravano i loro dèi entro luoghi sagri, che chiama «lucos et nemora», che dovetter essere selve rasate dentro il chiuso de’ boschi (del qual costume durò fatiga la Chiesa per disavvezzargli, come si raccoglie da’ concili hanetense e bracarense nella Raccolta de‘ decreti lasciataci dal Buchardo), ed ancor oggi se ne serbano in Lapponia e Livonia i vestigi.

480De’ peruani si è truovato Iddio dirsi assolutamente «il Sublime», i cui templi sono, a ciel aperto, poggi ove si sale da due lati per altissime scale, nella qual altezza ripongono tutta la loro magnificenza. Onde dappertutto la magnificenza de’ templi or è riposta in una loro sformatissima altezza. La cima de’ quali troppo a nostro proposito si truova appresso Pausania dirsi ἀετός, che vuol dir «aquila»; perché si sbosca-