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116 libro quarto - sezione decimaquarta - capo primo


volevano un inclito Orazio vittorioso battuto nudo con le bacchette e quindi all’albero infelice afforcato, come l’un e l’altro sopra si è detto ad altro proposito. Dalla legge delle XII Tavole condennati ad esser bruciati vivi coloro ch’avevano dato fuoco alle biade altrui, precipitati giú dal monte Tarpeo li falsi testimoni, fatti vivi in brani i debitori falliti: la qual pena Tullio Ostilio non aveva risparmiato a Mezio Suffezio, re di Alba, suo pari, che gli aveva mancato la fede dell’alleanza; [ed] esso Romolo, innanzi, fu fatto in brani da’ padri per un semplice sospetto di Stato. Lo che sia detto per coloro i quali vogliono che tal pena non fu mai praticata in Roma.

1022Appresso vennero le pene benigne, praticate nelle repubbliche popolari, dove comanda la moltitudine, la quale, perché di deboli, è naturalmente alla compassione inchinata; e quella pena — della qual Orazio (inclito reo d’una collera eroica, con cui aveva ucciso la sorella, la qual esso vedeva piangere alla pubblica felicitá) il popolo romano assolvette «magis admíratione virtutis quam iure caussae» (conforme all’elegante espressione di Livio, altra volta sopra osservata), — nella mansuetudine della di lui libertá popolare, come Platone ed Aristotile, ne’ tempi d’Atene libera, poco fa udimmo riprendere le leggi spartane, cosí Cicerone grida esser inumana e crudele, per darsi ad un privato cavaliere romano, Rabirio, ch’era reo di ribellione. Finalmente si venne alle monarchie, nelle qual’i principi godono di udire il grazioso titolo di «clementi».

1023Come dalle guerre barbare de’ tempi eroici, che si rovinavano le cittá vinte, e gli arresi, cangiati in greggi di giornalieri, erano dispersi per le campagne a coltivar i campi per gli popoli vincitori (che, come sopra ragionammo, furono le colonie eroiche mediterranee) — quindi per la magnanimitá delle repubbliche popolari, le quali, finché si fecero regolare da’ lor senati, toglievano a’ vinti il diritto delle genti eroiche e lasciavano loro tutti liberi gli usi del diritto natural delle genti umane ch’Ulpiano diceva (onde, (con) la distesa delle conquiste, si ristrinsero a’ cittadini romani tutte le ragioni, che poi si dissero «propriae civium romanorum», come sono nozze, patria