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268 conchiusione dell’opera


[CMA3] CAPITOLO SECONDO

pratica della scienza nuova

1405Ma tutta quest’opera è stata finora ragionata come una mera scienza contemplativa d’intorno alla comune natura delle nazioni. Però sembra, per quest’istesso, mancare di soccorrere alla prudenza umana, ond’ella s’adoperi perché le nazioni, le quali vanno a cadere, o non rovinino affatto o non s’affrettino alla loro roina; e ’n conseguenza mancare nella pratica, qual dee essere di tutte le scienze che si ravvolgono d’intorno a materie le quali dipendono dall’umano arbitrio, che tutte si chiamano «attive».

1406Cotal pratica ne può esser data facilmente da essa contemplazione del corso che fanno le nazioni; dalla qual avvertiti, i sappienti delle repubbliche e i loro principi potranno con buoni ordini e leggi ed esempli richiamar i popoli alla loro ἀκμή, o sia stato perfetto. La pratica, la qual ne possiamo dar noi da filosofi, ella si può chiudere dentro dell’accademie. Ed è che ’n questi tempi umani, ne’ quali siam nati, d’ingegni scorti ed intelligenti, dee qui, nel fine, guardarsi a rovescio la figura proposta nel principio; e che l’accademie colle loro sètte de’ filosofi non secondino la corrottella della setta di questi tempi, ma quelli tre principi sopra i quali si è questa Scienza fondata — cioè: che si dia provvedenza divina; che, perché si possano, si debbano moderare l’umane passioni; e che l’anime nostre sien immortali — e quel criterio di veritá: che si debba riverire il comun giudizio degli uomini, o sia il senso comune del gener umano, del quale Iddio, che non lascia sconoscersi dalle quantunque perdute nazioni, non mai desta loro piú forte riflessione che quando esse son corrottissime. Perché, mentre i popoli sono ben costumati, essi operano le cose oneste e giuste piú che ne parlano, perché l’operano, piú che per riflessione, per sensi: ma, quando sono guasti e corrotti, allora, perché mal soffrono internamente sentirne la mancanza, non parlan d’altro che d’onestá e di giustizia (come naturalmente avviene ch’uomo non d’altro parla che di ciò ch’affetta d’essere e non lo è); e, perché sentono resister loro la religione (la qual non possono naturalmente sconoscere e rinniegare), per consolare le loro perdute coscienze, con essa religione, empiamente pii, consagrano le loro scellerate e nefande