Pagina:Vico, Giambattista – La scienza nuova seconda, Vol. II, 1928 – BEIC 1964822.djvu/333

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nota 327


nell’Aggiunta all’Autobiografia), un breve e pacato riassunto della Novella letteraria anzidetta.

L’opera fu messa in commercio nel decembre ’30, come prova una lettera del 24 di quel mese del gesuita Domenico Lodovico, che a Napoli fu tra i primi a riceverla in dono. Naturalmente, un esemplare rilegato con gran lusso (filetti d’oro, fregi accartocciati, dorso decorato e taglio dorato), e tuttora serbato nella Corsiniana di Roma, fu inviato in omaggio a Clemente XII. Assai men sontuoso ma tanto meglio collocato fu l’altro esemplare, che, parimente nel decembre ’30, il Vico, per mezzo di suo figlio Gennaro, allora quindicenne, fece recapitare a mano al suo dotto amico Francesco Spinelli principe di Scalea. Giacché, tre giorni dopo d’averlo ricevuto, lo Spinelli indicò al Vico tre errori di fatto osservati nella lettura dell’opera, fornendogli cosí l’occasione di pubblicare nello stesso formato e con gli stessi caratteri, e di far rilegare con gli esemplari non ancora donati o venduti, una Lettera dell’autore all’eccellentissimo principe di Scalea (pp. xii s.l.a., ma Napoli, Mosca, gennaio 1731), nella quale erano esibite altresí altre Correzioni, miglioramenti e aggiunte, che il Vico stesso chiamò seconde, e tra cui non manca di comparire un nuovo capitolo (Origini de’ comizi curiati).

Immediatamente dopo cominciò o, meglio, ricominciò pel filosofo napoletano il folle lavoro di riempire di postille i margini di quanti piú esemplari potesse della nuova opera, che, scritta con la celeritá che s’è vista, era inevitabile finisse ben presto col sembrargli ancora piú difettosa di quelle antecedenti. Uno, gremito di postille autografe e che, posseduto giá dal bibliofilo napoletano Francesco Antonio Casella, si serba ora nella ricca collectio iviciana di Benedetto Croce, fu donato, nel corso del ’31 o fors’anche del ’32, a monsignor Celestino Galiani, nominato poc’anzi arcivescovo di Taranto. Di mano aliena, e cioè di Giulio Cesare Marocco, ma dettate dal Vico, erano le postille d’un altro, perduto, donato dall’autore a un fratello del Marocco, Paolo Emilio, che nel giugno ’34 lo diè in prestito al domenicano Tommaso Maria Alfani. Autografe, al contrario, par che fossero quelle aggiunte in un esemplare donato nel ’33 al teologo domenicano Daniele Concina, venuto a Napoli a predicar la quaresima, e dal Concilia inviato a Padova a suo fratello Nicola, anch’egli domenicano e dal ’32 lettore di metafisica in quello Studio, ove piú volte espose le dottrine del Vico. E finalmente postille autografe piú o meno