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330 nota


A poco a poco divenne cosí rara che nel ’70 il libraio napoletano Torres ne vendè per sei ducati un esemplare, posseduto ora dal Croce; e, una ventina d’anni dopo, il barone Pietro Custodi, desiderando possederla in proprio, la trascrisse, con un amico e compagno di studi, dalla prima all’ultima parola. Ciò non ostante, nessuna attuazione ebbe il proposito dell’altro libraio napoletano Michele Stasi di ristampare la Scienza nuova terza come primo volume d’una serie di opere vichiane a cura di Gennaro Vico; cosí come le vicende politiche del ’99 fecero andare a monte un’altra ristampa, divisata poco prima di quell’anno da Vincenzo Cuoco e da un suo amico, che molto probabilmente fu Francesco Daniele. Ben presto, per altro, gli esuli napoletani portavano e diffondevano a Milano il nome del Vico: da che il bisogno di conoscerne da vicino il capolavoro, e la conseguente ristampa che, forse per iniziativa del Monti e, a ogni modo, non del Cuoco, che a quell’impresa si tenne estraneo, se ne fece colá nel 1801, e che fu poi riprodotta nell’11 a Napoli e nel ’16 nella stessa_Milano. Sei anni dopo, il dottor Guglielmo Ernesto Weber, esortato e forse aiutato dai suoi amici Baier, Adolfo Wagner (l’editore del Bruno), Borsch, Ebert, Vömel e Gaspare Orelli (autore d’uno studio comparativo tra il Vico e il Niebuhr) pubblicava una non troppo fortunata traduzione tedesca dell’opera, ove verificò anche, nelle note a piè di pagina, una parte delle tante e tante volte errate citazioni vichiane. Fortunatissima, al contrario, la versione o, meglio, riduzione francese del Michelet, che, pubblicata nel ’27 e ristampata due volte nel ’35 e un’altra in anno incerto, fece andare a monte una diversa e forse piú compiuta traduzione francese, annunziata contemporaneamente da un giovane avvocato Alliex. Fortunata altresí una traduzione inglese del solo terzo libro, condotta, sulla riduzione del Michelet, da Enrico Nelson-Coleridge, e che ebbe tre edizioni: la prima nel ’30, la seconda in anno che non sapremmo precisare, la terza nel ’46.

Frattanto, mentre il testo del 1744 si ristampava due volte a Milano nel 1831 (una in due, l’altra in un volume), il Corcia lo inseriva nella sua raccolta delle Opere del Vico (1834), e Giuseppe Ferrari ne pubblicava nel ’36, nella sua prima edizione delle Opere vichiane, una vera e propria riedizione, accompagnata da uno spoglio, parecchio incompiuto, delle varianti dell’edizione del 1730 e da raffronti, alquanto generici, con la Scienza nuova prima e col Diritto universale. Questa riedizione ferrariana, cosí superiore,