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76 libro quarto - sezione decima - capo primo


956Le ragioni, le quali s’arrecavano in tali divini giudizi, eran essi dèi, siccome ne’ tempi ne’ quali i gentili tutte le cose immaginavano esser dèi: come «Lar» per lo dominio della casa, «dii Hospitales» per la ragion dell’albergo, «dii Penates» per la paterna potestá, «deus Genius» per lo diritto del matrimonio, «deus Terminus» per lo dominio del podere, «dii Manes» per la ragion del sepolcro; di che restò nella legge delle XII Tavole un aureo vestigio: «ius deorum manium».

957Dopo tali orazioni (ovvero obsecrazioni, ovvero implorazioni) e dopo tali obtestazioni, venivan all’atto di esegrare essi rei; onde appo i greci, come certamente in Argo, vi furono i templi di essa esegrazione, e tali esegrati si dicevano ἀναθήματα. che noi diciamo «scomunicati». E contro loro concepivano i voti (che fu il primo «nuncupare vota», che significa far voti solenni ovvero con formole consagrate) e gli consagravano alle Furie (che furono veramente «diris devoti»), e poi gli uccidevano (ch’era quello degli sciti, lo che sopra osservammo, i quali ficcavano un coltello in terra e l’adoravan per dio, e poi uccidevano l’uomo). E i latini tal uccidere dissero col verbo «mactare», che restò vocabolo sagro che si usava ne’ sagrifizi; onde agli spagnuoli restò «matar» ed agl’italiani altresí «ammazzare» per «uccidere». E sopra vedemmo ch’appo i greci restò ἄρα per significar il «corpo che danneggia», il «voto» e la «furia»; ed appo i latini «ara» significò e l’«altare» e la «vittima». Quindi restò appo tutte le nazioni una spezie di scomunica: della quale, tra’ Galli, ne lasciò Cesare un’assai spiegata memoria; e tra’ romani restonne l’interdetto dell’acqua e fuoco, come sopra si è ragionato. Delle quali consagrazioni molte passarono nella legge delle XII Tavole: come «consagrato a Giove» chi aveva violato un tribuno della plebe, «consagrato agli dèi de’ padri» il figliuolo empio, «consagrato a Cerere» chi aveva dato fuoco alle biade altrui, il quale fusse bruciato vivo (si veda crudeltá di pene divine, somigliante all’immanitá, ch’abbiamo nelle Degnitá detto, dell’immanissime streghe!), che debbon essere state quelle sopra da Plauto dette «Saturni hostiae».