Pagina:Vico, Giambattista – Le orazioni inaugurali, il De Italorum sapientia e le polemiche, 1914 – BEIC 1965567.djvu/214

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non sono, ma disposizioni dell’Ente vero. E, facendo servire questa sapienza de’ gentili alla cristiana, pruovo che, perché i filosofi della cieca gentilitá stimarono il mondo eterno ed Iddio sempre operante ad extra, essi convertivano assolutamente il vero col fatto. Ma, perché noi il credemo creato in tempo, dobbiamo prenderlo con questa distinzione: che in Dio il vero si converta ad intra col generato, ad extra col fatto; e che egli solo è la vera Intelligenza, perché egli solo conosce tutto, e che la divina Sapienza è il perfettissimo Verbo, perché rappresenta tutto, contenendo dentro di sé gli elementi delle cose tutte, e, contenendogli, ne dispone le guise o siano forme dall’infinito, e, disponendole, le conosce, ed in questa sua cognizione le fa. E questa cognizione di Dio è tutta la ragione, della quale l’uomo ne ha una porzione per la sua parte (onde fu detto da’ latini «animai partecipe di ragione»); e per questa sua parte non ha l’intelligenza, ma la cogitazione del tutto, che tanto è dire non comprende l’infinito, ma bene il può andar raccogliendo. Formata questa idea di vero, a quella riduco l’origine delle scienze umane, e misuro i gradi della lor veritá, e pruovo principalmente che le matematiche sono le uniche scienze che inducono il vero umano, perché quelle unicamente procedono a simiglianza della scienza di Dio, perché si han creato in un certo modo gli elementi con definir certi nomi, li portano sino all’infinito co’ postulati, si hanno stabilito certe veritá eterne con gli assiomi, e, per questo lor finto infinito e da questa loro finta eternitá disponendo i loro elementi, fanno il vero che insegnano; e l’uomo, contenendo dentro di sé un immaginato mondo di linee e di numeri, opera talmente in quello con l’astrazione, come Iddio nell’universo con la realitá. Per la stessa via procedo a dar l’origine e ’l criterio delle altre scienze e dell’arti. Quindi confuto non giá l’analisi, come voi ragguagliate, con la quale il Cartesio perviene al suo primo vero. Io l’appruovo, e l’appruovo tanto, che dico anche i Sosi di Plauto, posti in dubbio di ogni cosa da Mercurio, come da un genio fallace, acquetarsi a quello «sed quom cogito, equidem sani». Ma dico