Pagina:Vico, Giambattista – Le orazioni inaugurali, il De Italorum sapientia e le polemiche, 1914 – BEIC 1965567.djvu/222

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III

Che niuna cosa proposta manca di pruova.

Voi dite che vi sono moltissime cose che vi sembrano aver bisogno di pruova. È il giudizio in termini troppo generali; e gli uomini gravi non hanno mai di risposta degnato, se non le particolari e determinate opposizioni che loro sono fatte. Con tutto ciò, per l’onore in che devo avervi, voglio far la ricerca, e vedere delle moltissime incontrarne qualcuna. Un luogo può esser quello: che ciò che contiene gli elementi delle cose, e le guise come son fatte, e in conseguenza le cose stesse, non pruovasi che sia mente; ed un gentile filosofo potrebbe dire che Io sia un infinito corpo moventesi. Ma a costui sta risposto lá dove dico che, siccome l’uno, virtú del numero, genera il numero e non è numero; cosi il punto, virtú dell’estensione, fa il disteso, né è disteso. Al qual esempio or io aggiungo che ’l conato, virtú del moto, produce il moto, né però è moto. Ma replicherá costui: non aver altra idea che di estensione e di moto; e prima dell’estensione ha idea del suo pensiero, peroché il pensiero sia il moto particolare che ’l costituisca nell’esser uomo; e perciò non poter ragionare delle altre cose per altri principi che di estensione e di moto. E pure a ciò sta risposto ove notammo che tanto Aristotile pecca in trattare la fisica metafisicamente per potenze ed infinite virtú, quanto Renato, che tratta fisicamente la metafisica per atti e per forme finite. E la ragion dell’errore d’entrambi è una: perché amendue trattarono delle cose con regola infinitamente sproporzionata. Perciò Zenone non portò a dirittura l’una nell’altra, ma vi frappose la geometria, che sola è quella scienza che tratta infiniti ed eterni finiti, e col suo aiuto ne ragionò. Perché l’essenza è una ragion d’essere: il nulla non può cominciare né finir ciò che è, e in conseguenza noi può dividere, perché il dividere è in un certo modo finire. Dunque