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XI

AL PADRE GIACCO

Ringrazia per le lodi al Diritto universale e accenna ai suoi detrattori.

Non attribuisca Vostra Paternitá reverendissima a poca attenzion mia peroché dopo ben molti giorni io risponda alla vostra pregiatissima lettera, perché io l’ho riputata tanto superiore al mio merito, che ho stimato ben fatto portarvene almeno le lodi delle quali piu lodati uomini l’avessero prima adornata, lo, per mio sommo pregio, 1’ ho letta a molti miei signori ed amici, ammiratori insieme dell’altissimo valor vostro; tra’ quali il signor don Francesco Ventura, il signor don Muzio di Maio, ’l signor don Aniello Spagnuolo, che vi mandano mille riverenti saluti, ne hanno sommamente lodato la proprietá del giudizio (se pur l’opra mia fosse tale, quale voi con quella vostra solita maniera grande l’avete appresa) e ne hanno ammirato il sublime torno di concepire, dal quale esce come da sé il gran parlare con la rara nota di una eroica naturalezza. Onde il signor don Marcello Filomarino, che va in ricerca di lettere d’ottima idea, me ne ha richiesto un essemplare. Per la cittá se ne parla come si suole di ciò che dicono uomini di grandissima auttoritá, ed amici ne vorrebbero copia affine di opporla all’altrui maladicenza; ma non ho voluta darla, perché non amo innalzarla come bandiera di una inutil guerra con uomini de’ quali piuttosto si dee avere pietá, e, se si vuole giudicar dritto, è anzi loro da farsi ragione. Imperciocché io ho scritto a voi, uomini di altissimo rango, per riceverne censure, opposizioni ed emende; conforme in fotti sommamente mi pregio che ’l signor Anton Salvini, per confessione di tutta Europa un de’ primi letterati d’ Italia, abbia degnato di sue particolari difficoltá l’istesso saggio che ne diedi e che soltanto aveva veduto. Per costoro ho scritto, affine di ricredergli da un numero presso che infinito d’errori in tutta la distesa de’ principi della profana erudizione.