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118 libro primo — sezione seconda

La Filosofia, per giovar al gener umano, dee sollevar e reggere l’uomo caduto e debole, non convellergli la natura né abbandonarlo nella sua corrozione. Questa Degnità allontana dalla scuola di questa Scienza gli stoici, i quali vogliono l’ammortimento de’ sensi, e gli epicurei, che ne fanno regola, ed entrambi niegano la Provvedenza, quelli faccendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso, e i secondi oppinando che muoiano l’anime umane coi corpi; i quali entrambi si dovrebbero dire «filosofi monastici o solitari»): e vi ammette i filosofi politici, e principalmente i platonici, i quali convengono con tutti i legislatori in questi tre principali punti: che si dia Provvedenza divina, che si debbano moderare l’umane passioni (a)1 e farne umane virtù, e che l’anime umane sien immortali. E ’n conseguenza, questa Degnità ne darà gli tre principii di questa Scienza.

vi


La Filosofia considera l’uomo quale dev’essere; e, sì, non può fruttare ch’a pochissimi, che vogliono vivere nella repubblica di Platone, non rovesciarsi nella feccia di Romolo2.

vii


La legislazione considera l’uomo qual è, per farne buoni usi nell’umana società; come della ferocia, dell’avarizia, dell’ambizione, che sono gli tre vizi che portano a travverso tutto il gener



  1. (a) con la giustizia e, da quella sì moderate, farne ecc.
  2. Cic., Ad Att., II, 1,6: «Nam Catonem nostrum non tu amas plus guani ego; sed tamen ille, optimo animo utens et summa fide, nocet reipublicæ: dicit enim tanquam in Platonis πολιτείᾳ, non tanquam in Romuli fœce, sententiam».