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suo nome; la marmorea effigie di lui attesta l’onorevole cura che di età in età mantiene viva in quel taciturno ritiro la memoria del grande Italiano. Moricone priore il ricevè nel 1318; e gli Annali Avellanesi recansi ad onore di ripetere questo racconto. Che se lo tacessero, basterebbe aver visto il Catria e leggerne la descrizione di Dante1, per accertarsi ch’egli vi ascese. Di quivi egli, dalla selvosa cima del sasso, contemplava la sua patria, e godeva di dire che non era dessa lungi da lui.2E combattea col suo desiderio di rivederla; e, potendo ritornarvi, si bandiva egli stesso di nuovo per non soffrire l’infamia. Disceso dal monte, ammirava i costumi antichi degli Avellaniti; ma fu poco indulgente co’ suoi ospiti, che gli sembrarono privi delle loro virtù.3 A quei giorni, e nei luoghi vicini a Gubbio, sembra che si debba porre l’aver egli dettato i cinque Canti oltre il vigesimo del Paradiso. Imperciocchè nella menzione che fa di Firenze, allorchè nel vigesimo primo
- ↑ Parad. XXI, 106-111.
- ↑ Ibid. 107.
- ↑ Ibid., 113-120.