Pagina:Vitrioli - Epigrammi latini, G. Nobile, 1871.djvu/13

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che entrambi questi pilei debbano lasciare scoperti certi occipizii lisci e lucidi come specchi di Venezia; e che per l’opposto vi discendano dalla fronte giù sin sul naso, sì che dobbiate alzarlo ad un angolo ben ottuso per servirvi della vista, come que’ ciechi di cui parla Dante. Oh non è vero, che Dio. — Os homini sublime dedit, Coelumque tueri Iussit!

E qui, il nostro individuo, toltomi di mano con leziosa disinvoltura il libriccino. — In che idioma da Cristiano, mi disse, è scritta questa bazzecola? Ah! l’indovino: è Latinorum. E chi si sogna ancora di questi rancidumi al nostro tempo? — E cominciò a spiegazzare i pochi fogli, ed a leggicchiare alcuni di cotesti mirabili Epigrammi con tanto sgangherata poltroneria, e con tanto belluina sgarbatezza di metro, che non è vero, che mai Tedesco alcuno strambellasse peggio la poesia.

Quando, risposi io all’homuncolo poco sullodato, non si sa una Lingua (e voi mi avete l’aria di non saperne molte), invece di disprezzo, il pudore insegna di mostrare almeno qualche rincrescimento di non averla imparata. Specialmente quella dei nostri grandi antenati, nella quale sfolgoreggia la più celestiale armonia fra tutte, per chi ha il timpano un po’ meglio organizzato che quello dei paracarri. Non intenderla, pazienza; chè non è cosa da tutti. Ma non saperla leggere! Arri!

In questa, il mio vagheggino, voltatemi leggiadramente le groppe, e balenando su le anche muliebri a guisa di cutreccola, mi fè lieto della sua lontananza — Et avertens rosea cervice refulsit.

Oh animal grazïoso e benigno! dissi, contemplandone l’Afrodisio portamento; e respira! Ora dirigendomi agl’intelletti sani, sappiasi, che il volumetto del Vitrioli è una delle rare buone cose che si scrivano ai nostri giorni, e dissimile affatto da migliaia le quali nascono, vagiscono un momento, e muoiono. Cotesti epigrammi rimarranno. E perchè l'esimio Autore