Pagina:Vittorelli - Poesie, 1911 - BEIC 1970152.djvu/103

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XXXII

Zitto! Que’ due labbrucci
che vagliono un tesoro,
finissimo lavoro
de l’acidalia man,

veggoli un tratto aprirsi
in armonia celeste:
ecco, di gioia agreste
ridono i colli e il pian.

L’aura non move fronda,
l’erbe si fan pili verdi...

O Amore, oh quanto perdi
a non ferire un cor!

Se quella rosea bocca
fosse ai sospiri avvezza,
chi mai con piú dolcezza
si lagneria d’Amor?

XXXI li

Tacete, o versi miei,
né piú risuoni il bosco:
voi siete, io lo conosco,
inutili per me.

Di penetrar ne l’alme
il cielo a voi non diede,
e quinci la mia fede
aspetta invali mercé.

Sarebbe a’ miei sospiri
quel cor men duro e schivo,
se voi sapeste al vivo
esprimerli e ridir...

Ah! ch’io rampogno a torto
le inefficaci rime:
si sente e non si esprime
la forza d’un sospir.

I. V ITT ORELLl , Poesie.

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